nostro inviato a Liegi
Tema: «È maggio, torna il Giro d'Italia: racconta la grande corsa rosa, lasciando libero sfogo alle impressioni e alle riflessioni personali».
Svolgimento. Il Giro d'Italia parte quest'oggi da Liegi, la capitale della Vallonia, una bella regione collinare del Belgio molto popolata da vacche (in senso buono). Che il Giro d'Italia parta da qui, con una breve cronometro di sei chilometri, cui seguiranno tre tappe vere, può sembrare strano solo a prima vista: in realtà, un buon affare di due miliardi e mezzo (in lire) ha convinto tutti di quanto fossero fraterni e commoventi i legami storico-culturali tra Italia e Belgio.
Comunque, nessuno deve preoccuparsi: da mercoledì la carovana tornerà in Italia, e allora il Giro d'Italia davvero farà un grande giro dell'Italia. Mai come quest'anno la strada sarà dura e faticosa. Mai come quest'anno lo spettacolo si preannuncia eccitante. Qui è davvero tutto nuovo. Nuovo il grande capo Angelo Zomegnan, il giornalista prestato all'organizzazione. Nuovo il montepremi, salito a un milione e 350mila euro. Nuova la platea televisiva, che finalmente si allarga a nuovi continenti, come Africa e Asia. In tutto, i potenziali telespettatori saranno due miliardi e 350 milioni: per la prima volta guarderanno la corsa i cinesi. Nuova è pure tutta la coreografia delle partenze e degli arrivi, con un netto salto di qualità nel colpo d'occhio: praticamente, il Giro è un po' meno sagra della tinca e un po' più Tour de France, anche se alla corsa francese non ha comunque nulla da invidiare sotto il profilo tecnico, perché i boriosi cugini d'Oltralpe, montagne come Mortirolo, Plan de Corones, Gavia, Passo delle Erbe, San Pellegrino possono soltanto guardarle in cartolina.
E tanto per restare ai paragoni, bisogna dire assolutamente qualcosa anche sui campioni al via. Solitamente, loro ci umiliavano con un nome soltanto: Lance Armstrong. È un americano che nella sua vita ha battuto il cancro e poi ha vinto sette volte di fila il Tour. Da noi non è mai venuto, contribuendo in modo decisivo alla supremazia della corsa gialla. Come tutto e tutti, però, anche Armstrong è finito: così, ora le cose cominciano a riequilibrarsi. Il Giro di quest'anno, il nuovo Giro della nuova era, offre una serie di favoriti e di duelli che non ha nulla da invidiare a nessuno. Anche se il titolo del tema chiede impressioni e riflessioni personali, è giusto scrivere l'elenco di questi primattori: Basso, Cunego, Simoni, Savoldelli, Di Luca, Ullrich, Rujano e persino un giovane americano di cui tutti parlano benissimo, tale Danielson. A loro va poi aggiunta la coppia Petacchi-McEwen, due satanasssi che metteranno i brividi con gli sprint, nonché il campione olimpico Bettini, cui i tecnici del giro attribuiscono il ruolo di imprevedibile guastatore.
Alla vigilia della cronometro d'apertura, la tradizione vuole che i protagonisti si esprimano con le loro speranze e i loro dubbi. In questo tema non c'è lo spazio per riproporli tutti, ma pure avendo tanto spazio a disposizione non sarebbe il caso di sprecarlo. Sono soprattutto frasi di circostanza. Basso, il grande favorito, parla al solito da bravo ragazzo, dicendo cose del tipo «tutte le tappe sono difficili, tutti gli avversari sono forti, dovrò combattere giorno per giorno» (se noi, a scuola, scrivessimo temi così, la maestra cosa ci darebbe?). Cunego, che ormai tutti chiamano Piccolo Principe per come è improvvisamente comparso nel Giro di due anni fa e per come magicamente l'ha vinto, sembra guarito da una mononucleosi: nella sua intervista, dice che senza Simoni tra i piedi (bisognerebbe scrivere un'altra cosa, ma nei temi non sta bene) si trova molto meglio, e che per rimediare ai ritardi accumulati nelle cronometro dovrà andare molto all'attacco. Noi delle scuole italiane, sinceramente, simpatizziamo per lui, perché tra tutti è il campione più giovane e più ragazzino, cioè più vicino al nostro mondo. Anche se quando scatta è un grande.
Il vincitore dell'anno scorso, Savoldelli, dice che per vincere di nuovo dovrà «essere ancora più forte, visto il percorso massacrante». Quanto a Simoni, è forse quello che dice la frase più schietta e più simpatica: «Per vincere, dovrò inventare: dovrò essere matto».
Più o meno, questo è tutto.
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