Cristiano Gatti
da Milano
Tanto perché tutti capiscano subito che razza di Giro impervio sarà, si comincia con una presentazione estenuante. Due ore da tramortire i tori, per partorire un risultato che comunque resterà scritto nella storia: siamo davanti al percorso più incredibilmente massacrante dell'età contemporanea. Toni roboanti per un Giro senza pietà. È la scelta drastica - e molto coraggiosa - del nuovo patron, quell'Angelo Zomegnan che ha chiaramente capito una cosa fondamentale: i grandi ascolti, i grandi entusiasmi, le grandi passioni si scatenano soltanto buttando i corridori nella fossa dei leoni. E allora via, senza risparmio di cime nevose e di pendenze pazzesche. Terza settimana disegnata per Messner. Tanti bei nomi della leggenda - e della paesaggistica - italiana sono già in attesa di elargire sofferenza ai corridori e spettacolo ai tifosi. Bondone, Pordoi, Fedaia, Staulanza, San Pellegrino, Tonale, Gavia, persino Ghisallo nell'ultima giornata (tutto confermato): cito a caso, scorrendo velocemente l'altimetria, un grafico che ricorda il sismografo quando manda all'aria la scala Mercalli. Su e giù in continuazione, con lunghi tratti di sterrato (Plan de Corones), per arrivare infine là dove un Giro vero deve presentarsi sempre, tutti gli anni, stabilendo puntualmente la sua differenza rispetto al Tour: sì, sul Mortirolo, la montagna delle montagne. Finalmente ci viene restituito, dopo colpevoli amnesie e strane codardìe. Così dev'essere, qui in Italia: la corsa più importante resta aperta fino all'ultimo respiro, perché si sappia che soltanto chi esce forte dal Mortirolo ha i titoli per presentarsi forte a Milano.
Bravo a Zomegnan. Finalmente si svolta, riaprendo a un ciclismo più di gambe e di cuore che di tattiche e di sofismi. Però c'è un però. Non esistono grandi teatri senza grandi attori. È il rischio vero di questo Giro «hard», che ancora prima di partire vanta una vittima illustre (Petacchi in fuga al Tour, per la depressione della signora Anna Chiara): cioè sparare un cartellone ambiziosissimo, ma mandare sul palcoscenico solo mezze figure. Nessuno deve offendersi, ma la verità è questa: dire che il Giro 2006 potrebbe risolversi, ancora e sempre di più, in un duello Simoni-Rujano, un glorioso italiano a fine carriera contro un giovane colombiano senza quarti di nobiltà, non è una battuta. Chi, altrimenti? Certo, Savoldelli, l'ultimo in rosa: ma se si è salvato per pochi secondi sulle salite dell'anno scorso, stavolta l'operazione risulterà decisamente più complicata. Certo, Cunego: ma sul nostro talento è meglio non caricare enormi responsabilità, visto come è finito l'anno scorso già alle prime salite. Diciamolo: troppi ma. C'è un ma persino per Di Luca, che certo non è uomo d'alta montagna.
E allora? Opinione personale: questo è un Giro disegnato su misura per Ivan Basso. Cioè per il più grande campione della nazione Italia. Piccolo problema: dopo un terzo e un secondo posto a Parigi, e con Armstrong finalmente in pensione, quest'anno Ivan s'è legittimamente convinto di poter vincere il Tour. È l'occasione della vita: perfezionista com'è, vuole dedicarsi solo ed esclusivamente alla missione francese. La ragione dice giusto così, il cuore dice peccato. Peccato ancora di più davanti a questo percorso, tagliato su misura come da un sarto artigiano. Basso avrebbe dalla sua anche la cronosquadre e una cronometro di cinquanta chilometri in pianura: rispetto a Cunego, tanto per dire, sarebbe come partire con cinque minuti di dote. Poi hai voglia di rimontare Basso in salita, lui, unico al mondo in grado di tenere le andature di Armstrong negli ultimi anni. C'è poco da fare: perché questo Giro d'autore, che ripropone orgogliosamente la grande tradizione del made in Italy, acquisisca la gloria definitiva, è fondamentale portare al via un signore della bicicletta. Un volto nobile e aristocratico, capace di recitare con naturalezza la parte dell'istrione e del mattatore.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.