da Londra - La notte di sabato 6 maggio 1837 Charles Dickens, insieme alla moglie Catherine Hogarth e alla cognata Mary, rientrò tardi nella sua casa al numero 48 di Doughty Street. Avevano trascorso la serata al St. James's Theatre, dove avevano assistito a un'operetta, The Village Coquettes , composta dallo stesso Dickens. Prima di andare a dormire, si fermarono nella sala al pianoterra, brindando allegri per il successo della rappresentazione, poi salirono nelle camere al primo piano. I coniugi Dickens erano appena entrati nel letto quando udirono uno strano pianto venire dalla camera di Mary. Corsero nella stanza e trovarono la ragazza priva di sensi, colpita da infarto. Fu chiamato immediatamente un medico, ma non ci fu niente da fare: il pomeriggio del giorno seguente, Mary Hogarth morì, tra le braccia di Charles. Che pagò i funerali e scrisse per la sua tomba l'epitaffio «Giovane, bellissima e buona, Dio la volle tra i suoi angeli all'età di 17 anni».
I biografi di Dickens, come la bisnipote Lucinda Dickens e John Forster, sono concordi nel sostenere che Charles avesse una particolare predilezione per la giovane cognata. Che ne fosse, insomma, profondamente innamorato al punto da portare al dito l'anello di lei per tutta la vita. E che la sua fine, tragica e improvvisa, gliela fissò nel cuore, come emblema della bellezza e della gioventù e prototipo di tutte le eroine dei suoi romanzi. Proprio ispirandosi a lei, avrebbe più volte raccontato la morte precoce di giovani innocenti destinate a commuovere generazioni di lettori, come la Nell della Bottega dell'antiquario, quella che fece scrivere a quel dissacratore di Oscar Wilde che «ci vuole davvero un cuore di pietra per non ridere alla morte della piccola Nell». Dalla moglie Catherine, Charles ebbe poi dieci figli e, nel 1858, già quarantaseienne, si separò da lei (e la terza sorella Hogarth, Georgina, pare non sia stata estranea alla crisi coniugale), per intrecciare infine una relazione con un'attrice diciannovenne, Ellen Ternan. Ma questa è un'altra storia.
Torniamo alla casa di Doughty Street 48, che oggi è diventata il Museo Charles Dickens: i visitatori del 2015 possono salire al primo piano ed entrare nella camera di Mary, vedere il suo unico ritratto, dipinto dall'amico Phiz, e perfino il vestito, ancora perfettamente conservato, che indossava quella sera di 178 anni fa. Sarà forse una concezione salvifica della letteratura quella che ci spinge a percorrere le strade che i nostri scrittori del cuore hanno calpestato, a visitare le case che hanno abitato, fino a quella esperienza ancor più candidamente perversa che consiste nel recarsi nei luoghi dove vivono, pur senza essere mai esistiti, i personaggi dei loro romanzi. Uno struggente tentativo di annullare il tempo grazie allo spazio, colmando la distanza temporale con un corto circuito spaziale tra lo scrittore del passato e il lettore del presente, separati da anni o secoli ma accomunati dal trovarsi nei medesimi luoghi, sentiti come territorio di confine che unisce il mondo vero al mondo della letteratura, in modo da regalare agli eroi di carta un'ipotesi di concretezza fisica e a noi lettori inquieti una specie di compartecipazione alla leggerezza immortale dell'arte.
All'insonne Dickens bastavano poche ore di riposo, così trascorreva spesso le notti a passeggiare per le vie di Londra. Escursioni che gli permisero una conoscenza precisa della mappa della città e, grazie alla sua straordinaria memoria visiva, una familiarità che gli consentì di calare le sue storie nella topografia esatta delle vie che la sua mente fotografica conteneva. Anzi, si può dire che la varietà e la complessità della Londra vittoriana alimentarono la sua creatività, per cui capitava che fosse l'intrico dei vicoli, delle piazze e dei viali della città a ispirare il plot della narrazione. Così, ammaliati dal viluppo di memorie che casa Dickens ha vivificato, corriamo qua e là per le vie di Londra in cerca dei fantasmi chiusi nelle pagine dei suoi romanzi, che diventano il baedeker di itinerari lontani da quelli del turismo di massa: al Royal Exchange in Threadneedle Street, dove l'avaro Scrooge viene trascinato dallo Spirito del Natale Avvenire per ascoltare i mercanti «che si affrettavano in su e in giù, facevano tintinnare le monete in tasca, conversavano in gruppi, guardavano l'orologio, giocavano distrattamente con i loro grandi sigilli d'oro» e commentavano con parole sprezzanti la morte di Scrooge; all'incrocio tra Ludgate Hill e Newgate Street, dove la folla dei rivoltosi di Barnaby Rudge invade la città come un fiume in piena, formando «una massa così densa che a ogni scarica la gente pareva cadere a mucchi»; al Lincoln Inn Fields, dove si è conservata intatta dalle trasformazioni della zona la casa della «Bottega dell'antiquario» dell'omonimo romanzo, abitata dalla piccola Nell e dal nonno disgraziato; in Garden Court, dove ogni giorno, passandoci davanti per andare a lavorare in Fleet Street, quell'anima candida del Tom Pinch di Martin Chuzzlewitt guardava verso gli scalini per vedere se ci fosse l'adorabile sorella Ruth ad aspettarlo; in Farrington Road, in una traversa della quale c'è il covo dal quale il malvagio Fagin inviava Oliver Twist e i suoi compagni di sventura a rubare; al numero 33 di Rose Street, dove David Copperfield va a bere nel giorno del compleanno. E ci sbattezziamo per scoprire quale mai sarà la grande casa d'angolo in cui Paul Dombey e i suoi figli vivono la loro tragica saga, dallo splendore iniziale alla dissoluzione economica ed esistenziale, in uno dei romanzi più ossessionati dal mutamento e dalla condanna dello scorrere del tempo. Dickens ci dice solo che «sorgeva sul lato in ombra di una via lunga, buia e terribilmente distinta nella zona tra Portland Place e Bryanstone Square». Perlustrando quel quartiere, ipotizziamo che potrebbe trattarsi di Blandford Street, ma anche Baker Street corrisponde abbastanza all'identikit. E se Dombey fosse stato vicino di casa di Sherlock Holmes?
Si possono scoprire intrecci divertenti, usando la letteratura come una mappa per conoscere le città. Per visitare al numero 221 di Baker Street la fittizia casa-museo dell'investigatore bisogna fare una fila lunghissima (e filologicamente l'interno non corrisponde granché alla descrizione di Conan Doyle: «un grande soggiorno arioso, fornito di mobili di bell'aspetto e molto illuminato da due finestroni»). Sarebbe facile guardare quella fila con ironica superiorità, come fece una volta mia madre quando, da bambino, mi portò in gita a Collodi e una signora, indicando la camera del guardiano del parco, che si intravedeva da una finestra, le chiese ingenuamente se si trattasse del letto di Geppetto.
Invece, dopo aver sostato qualche minuto in un negozio di dozzinale merchandising dei Beatles, astutamente attiguo alla casa di Sherlock, mi metto in fila anch'io per vedere il letto di Watson. E quando tornerò a Collodi voglio cercare anche il letto di Geppetto e il cappello di mollica di pane di Pinocchio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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