Il giudice che ha scarcerato il killer «Umanamente mi sento responsabile»

Claudia B. Solimei

da Bologna

Non è stato nemmeno un errore, ma soltanto l'applicazione della legge a rimettere in libertà per la nona volta in un anno, in permesso premio, Antonio Dorio. L'uomo, già condannato a 26 anni per un omicidio commesso nel 1991, domenica all'alba ha ucciso il brigadiere dei carabinieri Cristiano Scantamburlo, 33 anni, durante un controllo di routine a un'auto vicino a un locale di Lido delle Nazioni, sul litorale ferrarese.
Tutta colpa, insomma, di un’inesorabile catena di decisioni che hanno condotto alla tragedia e in cui sono rimasti coinvolti il direttore del carcere di Ferrara, i carabinieri, due magistrati e, in particolare, quello del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, Luca Ghedini, responsabile di avere messo la firma sul permesso premio dell'omicida, rimasto poi ucciso anche lui nella sparatoria con i carabinieri: «Ammetto di sentirmi oggettivamente responsabile, ma non colpevole - ha detto ieri il giudice, ferrarese di 49 anni, in magistratura da 23 - perché ciò che è accaduto è una conseguenza del mio lavoro. Svolto in modo corretto, ma è successo questo».
Ma come si è arrivati a quel permesso premio, nonostante nel 2001 Dorio fosse anche evaso dal carcere di Bologna? «Dal 2005 aveva goduto di altri otto permessi - spiega Ghedini - ed era sempre tornato regolarmente in carcere e la stazione dell'Arma non aveva mai segnalato delle irregolarità comportamentali o di frequentazione». Tutto regolare, dunque: nelle sue ore di libertà, Dorio andava a trovare la madre vicino a Mesola, frazione sperduta nella valli di Comacchio, e non sembrava frequentare pregiudicati o altri cattivi soggetti. E per questo ogni volta che lo chiedeva, da un anno, il permesso arrivava sempre. La richiesta al magistrato di sorveglianza arrivava direttamente dal direttore del carcere, in questo caso quello di Ferrara, Francesco Cacciola, ieri irreperibile per tutto il giorno, che dava il suo assenso. Con il via libera del direttore, sul tavolo del giudice arrivava anche il disco verde delle forze dell'ordine, in questo caso i carabinieri. Infine, l'assenso del magistrato di sorveglianza passava al vaglio di un secondo magistrato, nell'occasione il pm della Procura di Bologna Antonello Gustapane, che poteva impugnare la concessione del permesso. Ma non è successo: «Da quello che mi risulta - ha spiegato ieri Gustapane - il permesso era stato rilasciato nel rispetto dei presupposti di legge, sulla base delle osservazioni personologiche effettuate in carcere e sulla base delle informazioni acquisite all'esterno degli organi di pubblica sicurezza».
A Dorio, invece, era stato rifiutato il regime di semilibertà: per la gisutizia italiana poteva stare fuori per un paio di giorni, ma non di più. Il ministro della Giustizia Roberto Castelli, che ha subito parlato di «malinteso garantismo», ha annunciato l'invio di ispettori per verificare la correttezza del procedimento applicato. «Se e quando arriveranno risponderò alle loro domande» ha detto ancora Ghedini, che al contrario non è voluto entrare nelle polemiche politiche suscitate dall'uccisione del carabiniere da parte del detenuto in permesso: «Delle parole del ministro chiedete conto a lui, non a me. Così come chiedete conto a Casini delle su affermazioni, a Gasparrri delle sue». Qualcosa in più, però, il magistrato ha aggiunto: «Non mi azzardo a dire che questa è la migliore normativa possibile, perché tanti altri sistemi possono essere trovati.

Dico però una cosa: questa è una buona normativa e il problema sono i mezzi e gli strumenti con cui viene applicata. Nella casa circondariale di Ferrara ci sono 250 detenuti definitivi. Questi 250 sono seguiti da due educatori e da uno psicologo. Se le sembran tanti...».

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