La sezione disciplinare del Csm ha deciso che il magistrato Edi Pinatto non dev’essere sospeso dalle sue funzioni. Pinatto aveva depositato con otto anni di ritardo le motivazioni d’una sentenza di condanna d’alcuni affiliati al clan Madonia, pronunciata dal tribunale di Gela. Costoro erano stati scarcerati proprio grazie alla prolungata inerzia di Pinatto. Il «caso» aveva suscitato scalpore, se n’era occupato, deplorandolo, perfino Napolitano.
Nel gennaio scorso, quando era ancora ministro della Giustizia, Clemente Mastella aveva chiesto la sospensione del giudice così restio a mettere nero su bianco le ragioni che avevano portato a un’affermazione di colpevolezza: ritenendosi che il comportamento del giudice medesimo fosse «incompatibile con l’ulteriore esercizio delle sue funzioni». L’uomo della strada, ignaro delle sublimità giuridiche, pensava di sicuro che quel lentissimo togato sarebbe stato immediatamente allontanato dai cosiddetti templi della legge, che sono anche templi della lentezza. Ma il soggetto in questione aveva davvero esagerato.
Con tutta calma - da gennaio ad aprile - la pratica è approdata sulle scrivanie degli illustrissimi componenti la sezione disciplinare del Csm. I quali hanno ritenuto che Mastella avesse, lui sì, peccato d’un inconcepibile eccesso di fretta. Non c’era nessuna urgenza per procedere alla sospensione - questa la tesi del Csm nel riassunto dell’agenzia Ansa - perché in fin dei conti la sentenza è stata depositata (ma che fatica per il povero Pinatto), e poi «il procedimento disciplinare sul merito si terrà a breve, nel mese di maggio». Allora calma, ragazzi.
Si dirà che nell’amministrazione italiana fatti e fattacci di questo genere non sono inconsueti, la negligenza è diffusa, il rinvio prediletto, la pigrizia perfino lodata come dimostrazione d’indole riflessiva. Tutto vero. E potrebbe indurci a indulgenza plenaria se non fosse per un particolare. La magistratura è non di rado severa, puntigliosa, accanita se si occupa delle manchevolezze e se volete anche delle malefatte di appartenenti ad altre branche «pubbliche». Fa bene. Farebbe benissimo se non fosse di manica smisuratamente larga per se stessa.
Non vorrei essere frainteso per l’esempio che scelgo. I tutori dell’ordine hanno obblighi di comportamento corretto, quali che siano le circostanze in cui agiscono. Non invoco dunque scusanti per quei poliziotti - dirigenti o subordinati - che durante i disordini del G8 di Genova furono maneschi, che adesso negano ogni responsabilità per le decisioni prese nel colmo di una situazione di drammatica emergenza, e che la vivace prosa dei Pm fustiga inesorabilmente. Per carità, sia fatto ciò che il codice e le prove impongono. Ma - forse sbaglio - secondo me la colpa d’un magistrato ben pagato che rimanda in libertà individui pericolosi per non avere assolto, durante otto anni (otto anni!) un suo preciso dovere è peggiore del ceffone a torto mollato dal mal pagato agente di polizia. Vogliamo essere duri con l’agente? Benissimo.
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