Giufà, brigante sempliciotto salvato soltanto dalle canzoni

Non convince «Del sapiente stolto...» di Ascanio Celestini

Il «teatro orale» è una contraddizione nei termini, perché il teatro nasce quando dal coro greco si stacca un corista che diventa personaggio. Il teatro è conflitto, scontro e dialogo. Il racconto di un affabulatore, seduto in scena su un sedia, è la negazione stessa del teatro, ma da noi, da una decina di anni, è stata inventata la formuletta di «teatro orale» per definire chi racconta storie, senza peraltro avere nulla a che fare con i cantastorie di una lunga e ricca tradizione popolare. In principio è stato il veneto Marco Paolini l'alfiere di questo nuovo genere, ora è sempre e comunque il romano Ascanio Celestini, presente non più solo sui palcoscenici della capitale, ma anche in quelli di tante altre città italiane. Celestini, mischiando il Pasolini cantore dell'Italia agricola, povera ma ricca di valori e felice, con l'ideologismo della sinistra radicale di questi ultimi anni, è diventato un'icona, come è stato un tempo Dario Fo, di un teatro politico e ideologico rivolto agli adepti.
Appunti per un film sulla lotta di classe, presentato l'anno passato anche al Piccolo di Milano, è il titolo di una delle narrazioni più care al suo pubblico. Ora peraltro un suo nuovo racconto, Del sapiente stolto e di altra saggezza, proposto a Frascati nella splendida Villa Sciarra, nell'ambito del Festival Bella ciao, e poi in tournée, faceva pensare a un Celestini un po' diverso, anche perché aveva accanto a sé la cantante libica, di origine ebraica, Evelina Meghnagi. In realtà Del sapiente stolto e di altra saggezza ha la stessa ideologia di un'altra precedente narrazione di Celestini, Scemo di guerra, diventata un cult. Nel nuovo racconto Giufà è un candido scemo che, alla fine, dopo varie peripezie, vince sempre su tutti coloro che lo vogliono raggirare, umiliare e addirittura uccidere. Si tratta non solo di un compare e di un brigante, ma addirittura di un giudice che viene sconfitto usando le stesse armi del diritto. Insomma, Giufà beffa tutti con la sua furbizia di sempliciotto. L'intenzione di Celestini, affabulatore senza cambi di tono, è forse di raccontare una favola, ma il suo ideologismo gli impedisce di farlo.

Per fortuna che Evelina Meghnagi, accompagnata da tre eccellenti musicisti, canta in lingue a lei care come l'ebraico, l'arabo, l'aramaico, il giudeo-spagnolo, melodie di una tradizione musicale che dalla Spagna, passando per il Marocco e la Libia, giunge fino allo Yemen. Ma la parte musicale, così suggestiva, ha poco o nulla a che fare con quella narrativa.

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