Giuliana Lojodice Splende una stella sulle ceneri di Kafka

Entra in scena con la sommessa energia di una maschera studiata nei minimi particolar eppure talmente credibile da sembrare vera. Cappotto scuro, abito verde muschio, leggermente ingobbita e claudicante, voce profonda e duttile, Giuliana Lojodice si trasforma nell’anziana governante di casa Samsa (proprio quella del racconto La metamorfosi di Kafka) regalando al pubblico del teatro Eliseo una grande, vibrante, prova d’attrice. Lontana da qualsiasi cliché, ella dà vita a un personaggio femminile memorabile che nello spettacolo Le conversazioni di Anna K, scritto e diretto da Ugo Chiti e ispirato all’opera dello scrittore praghese, diventa lo sguardo attraverso cui guardare, spiare, guidare, accogliere, accudire e alla fine eliminare il minaccioso insetto/figlio che, nella sua orrenda mostruosità (ma basterebbe dire «diversità»), scombussola l’ordinaria vita familiare e, tanto più, scompagina le rigide leggi del decoro sociale. Il ripugnante scarafaggio/Gregorio trova infatti solo nella paziente Anna - donna umile ma dotata della luminosa intelligenza propria di chi fa tesoro delle esperienze e del dolore - una seconda madre combattiva e autoritaria che dialoga con la strana bestiola riservandole la stessa doverosa attenzione che ella pone verso gli altri membri della sconvolta famiglia. Anzi, se nel rapporto con madre, padre e sorella, Anna mantiene sempre - pur nel suo logorroico bisogno di esprimersi - una punta di servile soggezione, con il «rifiuto» di casa ella si mostra nella sua più schietta umanità. Ed è proprio questo barcamenarsi emotivo tra relazione intima con l’animale e relazione convenzionale con i familiari e gli estranei di turno (piuttosto deludente ci è parsa la prova degli altri attori del cast) a rendere Anna una figura unica, complessa, forte, altamente teatrale. Merito certamente di Chiti (autore toscano tra i più rappresentativi della nostra scena) ma merito soprattutto della Lojodice, davvero straordinaria in questo non facile ruolo sospeso tra registri espressionisti e corde ironiche, caratterizzazione decisa (e però mai eccessiva) e punte di pacato simbolismo. La sua Anna ci racconta cioè che esiste una possibilità «altra» di guardare all’assurda tragedia dei Samsa (consumata tra le alte pareti mobili ideate da Daniele Spisa), e che questa possibilità coincide con la sensibilità rude ma pietosa di una donna del popolo chiamata a un compito ingrato: prendersi cura dello sgorbio di natura, farsi carico del suo diritto di vivere e di vivere bene.

Il lavoro, in scena fino a domenica 8 febbraio, parla di questo e merita di essere visto perché, al di là dell’ottima scrittura che ne costituisce le fondamenta, si struttura tutto intorno all’ammirevole interpretazione di un’attrice che, dopo cinquant’anni di carriera, sa ancora stupirci e affascinarci.

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