Dopo Un certo signor G di Neri Marcorè e prima de Il Dio bambino raccontato da Eugenio Allegri, il percorso gaberiano portato avanti dalla Fondazione Giorgio Gaber e da Giorgio Gallione per il teatro dellArchivolto di Genova, ha ospitato i Polli dallevamento messi in scena da Giulio Casale.
Ora, è difficile recensire in qualche modo lo spettacolo di Casale. Perchè, in Polli dallevamento, Casale - già cantante degli Estra, rock-band di nicchia e di culto - non rilegge Gaber. Casale «fa» Gaber. E lo fa nel senso più pieno della parola: canta come lui, parla come lui, si muove come lui, gesticola come lui, muove i capelli come lui, ha i capelli tagliati come lui. E, a tratti, se si chiudono gli occhi, si può pensare di avere davvero Giorgio Gaber di fronte a sé.
E proprio lidentificazione totale di Casale con Gaber - voluta, assolutamente voluta, fin dalla prima apparizione al festival di Viareggio - è contemporaneamente il punto di forza e di debolezza dello spettacolo. Di forza perchè di fronte alla grandezza e anche solo a un replicante alla Blade Runner della grandezza assoluta, è difficile non inchinarsi. Di debolezza perchè, abdicando a ogni innovazione personale, Casale evita sì il rischio di sbagliare, ma contemporaneamente non aggiunge nulla. E, paradossalmente, lo si vede proprio nellunico brano aggiunto al testo originale, con i riferimenti a Lars Von Trier, a Gabriele Muccino, a Silvio Berlusconi, a Walter Veltroni. Che funzionano benissimo.
Il resto, ed è tantissimo, sono Gaber e Luporini. Di cui - vedendo Polli dallevamento - emerge una volta di più la statura e la forza del pensiero: i testi scritti nel 1978, anche quelli più politici, sembrano di ieri, addirittura freschi di crisi di governo e, musicalmente, ci sono brani di valore assoluto, anche al di fuori del teatro canzone.
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