"La giuria dello Strega? È tempo di azzerarla"

I sospetti dell’editore dopo la cinquina dei finalisti scelta mercoledì: "Quella terna a pari merito per chi ne capisce significa qualcosa..."

"La giuria dello Strega?  
È tempo di azzerarla"

Alessandro Dalai è arrabbiatissimo. La cinquina dello Strega, votata ieri a casa Bellonci (con 37 astenuti: Nesi a quota 60, Desiati, Arpaia e Veladiano a 49, Castellina a 45) vede escluso dal «premio letterario più importante d’Italia» Fabio Geda e il suo Nel mare ci sono i coccodrilli, uno dei bestseller della passata stagione, con oltre 200mila copie vendute: «Quindi siamo nella posizione di dire ciò che pensiamo e per equità far capire che non se ne può più di questa battaglietta» ci sottolinea Dalai con foga.

E che vorrebbe dire come prima cosa?
«Che siamo alle bucce. Un editore medio, che presenta un bestseller che ha già venduto il doppio di tutti i libri della dozzina sommati, ed è stato già acquisito in 40 Paesi del mondo, viene escluso dalla cinquina per i soliti giochini».

Pennacchi ha ribadito che «il voto è sacro». Non le basta come risposta?
«Ma guardi che noi ci aspettavamo meno voti, diciamo 25. Invece siamo arrivati a 37. È quella terna a pari merito che per chi ne capisce significa qualcosa».

Che cosa?
«L’accordo. Che nella migliore delle ipotesi avviene per amicalità».

E nella peggiore?
«Noi non siamo entrati perché gli editori romani disperdono 50, 60 voti tra gli altri con accordi a buon rendere. L’editore Dalai tra gli Amici della Domenica ha un solo voto sicuro: il mio. Ci sono case editrici che fatturano un ventesimo di noi che ne hanno molti di più».

Modeste proposte?
«Azzerare la giuria e ricostruirla da capo. Ma capisco che è difficile. E allora almeno riformarla, eliminando chi il diritto di voto l’ha perso da un pezzo e non dovrebbe votare affatto».

Sarebbe?
«Chi è entrato per via di un ruolo che non ha più, un centinaio di persone almeno. Se uno è stato il direttore generale di una grande casa editrice e adesso fa l’organizzatore culturale o ha una fabbrica di carne in scatola, se uno dopo aver diretto la Rizzoli è uscito dal mercato, se uno faceva il sindaco e ora non è più sindaco... perché deve continuare a votare? Votasse il nuovo sindaco».

E invece così...
«Così, con il voto per la vita, il premio si autoriproduce, si stratificano lobby legate a gruppi editoriali, soprattutto romani. La giuria permette che si facciano gli accordi e c’è un’invadenza insopportabile di ex funzionari Rai e delle università. De Mauro non ha riformato un bel nulla. A me andava bene quando è stato eletto: un personaggio di alto profilo. Ma si vede che poi tra alti profili e potenti ci si intende. Si è seduto lì e aspetta che le cose cambino con gradualità. Statisticamente, muoiono 20/25 giurati dello Strega in un anno. Fatti i conti, ci vuole un sacco di tempo per riformare la giuria con gradualità».

Gli altri editori che dicono?
«Ma che vuole che dicano, gli va bene così. Gli editori sono narcisi individualisti, non si mettono d’accordo su nulla. Chi è in posizioni dominanti vince sempre e gli altri si gestiscono i voti. Così ogni anno affrontiamo rassegnati questo premio che è una calamità. Perché guardi che noi partecipiamo perché il premio fa vendere, sennò per come è organizzato non ci andrebbe nessuno».

Ma lei ci vede qualcuno al posto di De Mauro?
«Non ci ho ancora pensato, sono troppo arrabbiato. Ma basterebbe un ministro della cultura serio che prendesse posizione per cambiare qualcosa. E poi, visto che il premio è privato, che dall’interno venissero riconosciute le anomalie».

Parteciperà ancora?
«Sono fortemente tentato di

smettere, anche perché andare con un libro così forte e non entrare in cinquina significa rischiare la figura. Ma proprio stamattina ho ristampato ventimila copie di Geda: noi lo Strega, con questo titolo, lo abbiamo già vinto».

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