Giuseppe, la paperella che divenne principe

Lo afferma Alberto Soldini, ex presidente della Sambenedettese. Che, nella denuncia, parla anche di un «socio» grande e grosso. Ma l’ex regista giallorosso smentisce

Marcello Di Dio

Per tutti i tifosi della Roma, Giannini è il «Principe» per l’eleganza con cui calcava i campi di calcio. Anche se il suo primo soprannome - come raccontato sul suo sito - era Paperella. Un modo come un altro per sottolineare una sua qualità: quando giocava a pallone, anche nell’acqua o nel fango, riusciva comunque a reggersi in equilibrio e a non cadere. In casa giallorossa è stato l’ultimo grande numero 10 prima dell’avvento di Francesco Totti. Primo di tre fratelli, già quando gioca nella squadra della parrocchia la sua fede è romanista. Tanto che ai tempi dell’Almas viene convocato a Milanello per un provino, che va bene ma lui non si vede in maglia rossonera né tanto meno con quella della Lazio, altra squadra sulle sue tracce. E così nel 1980 Giorgio Perinetti, all’epoca responsabile del settore giovanile giallorosso, lo porta alla Roma: il presidente Dino Viola per quel promettente calciatore di soli 16 anni stacca un assegno di 40 milioni.
Il suo inconfondibile stile di gioco, quella capacità con il pallone tra i piedi avendo sempre e comunque la testa alzata e gli occhi in cerca del compagno da servire, l’eleganza della corsa, la saggezza tattica: tutte doti che conquistano Nils Liedholm e che lo fanno diventare in pochi mesi la stella del vivaio romanista. Fino all’esordio in serie A, Roma-Cesena del 31 gennaio 1982, la prima di 437 partite in giallorosso tra campionato e Coppe, 75 i gol segnati (il primo alla Juve nel 1985).
In azzurro è il regista preferito di Azeglio Vicini, che si affida alla fantasia del giocatore della Roma sia nell’Under 21 sia nella nazionale maggiore. Ma finita la sua era, si conclude anche l’avventura di Giannini con l’Italia, complice anche un appannamento nel club. Il rapporto con la Roma sembra essere al capolinea, ma l’allora patron Ciarrapico - suo grande estimatore - gli rinnova il contratto. Fiorentina-Roma è l’ultima sua partita in giallorosso, poi l’esperienza austriaca allo Sturm Graz, una fugace presenza al Napoli di Mazzone e quella più positiva al Lecce, dove ottiene la salvezza. I tifosi della Roma lo tradiscono in occasione della partita d’addio all’Olimpico il 18 maggio 2000: risse, devastazioni e stadio sfregiato dai vandali alla fine del primo tempo, tra gli insulti al presidente Sensi.
I risultati come allenatore sono disastrosi: esoneri a Foggia e a San Benedetto del Tronto, così il Principe tenta anche la strada estera, ma in Romania alla guida dell’Arges Pitesti dopo una vittoria nella gara di esordio colleziona nove sconfitte di fila.

Il presidente decide di sollevarlo dall’incarico due settimane dopo la chiamata di Giovanni Cervone nel ruolo di preparatore dei portieri. E fallisce anche in politica: nel marzo 2005 si presenta alle elezioni regionali nelle liste di Forza Italia, ma non viene eletto. Fino al fattaccio, poco nobile per un «Principe» come lui.

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