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Giustizia, l’Unione si salva in Senato col voto di Andreotti

Determinante l’appoggio del senatore a vita per l’approvazione dell’articolo 1 che abolisce la separazione delle carriere e salva i pm. Berlusconi critica le assenze della Cdl in aula: persa un'occasione d'oro

Giustizia, l’Unione si salva in Senato col voto di Andreotti

Roma - «Oggi abbiamo ufficialmente varato l’ottavo governo Andreotti». Ci si scherza su, non solo nell’opposizione ma pure nella maggioranza, segno evidente che ormai pure i senatori dell’Unione vivono nella consapevolezza che la crisi è dietro l’angolo. Così, sul voto del primo articolo della riforma dell’ordinamento giudiziario, passato con 152 «sì» contro 151 «no» e con l’appoggio decisivo del senatore a vita e sette volte presidente del Consiglio Andreotti, questa volta non ci si scompone più di tanto. E, soprattutto nel centrosinistra, si accoglie di buon grado il soccorso bianco che salva il governo dal de profundis. Decisamente meno divertiti, invece, i capigruppo dell’opposizione che ancora una volta vedono sfumare la possibilità di mandare sotto la maggioranza. E con più d’un rimpianto, viste le troppe assenze. A scorrere i tabulati, infatti, mancano all’appello Biondi (Forza Italia), Baccini e Trematerra (Udc), e l’ex leghista Gabbana, ora nel misto. Con i due centristi - il primo in missione in Francia, il secondo malato - che non è la prima volta che si fanno desiderare durante votazioni sul filo di lana, tanto che l’irritazione degli alleati è palpabile. Assenze, confida Berlusconi a chi ha occasione di sentirlo nella giornata, sulle quali «ci sarebbe tanto dire» e su cui «si dovrà far chiarezza». Perché, ripete più d’una volta pur scegliendo pubblicamente la via del silenzio, «ci siamo lasciati scappare un’occasione d’oro» e «queste sono cose che non possiamo permetterci». Insomma, «se fossero andati sotto la crisi sarebbe stata inevitabile».
Ma, a parte l’inossidabile Andreotti, a mandare in acque agitate la maggioranza sono stati anche un gruppetto di senatori del centrosinistra, impegnati - guarda un po’ - in una conferenza stampa sui senza tetto al primo piano di Palazzo Madama. È il caso, per esempio, del capogruppo dell’Italia dei valori Formisano. Ma alla lista vanno aggiunti anche Russo Spena, presidente dei senatori del Prc, i suoi colleghi Giannini e Nardini, i due esponenti della Sinistra democratica Villone e Pisa (anche se per quest’ultima ci sarebbe stato solo un problema di registrazione del voto elettronico) e el senador italoargentino Pallaro. Con il miracolo dell’azzurra Burani Procaccini che pur essendo in conferenza stampa con Formisano risulta tra i votanti.
Così, non è un caso che dopo il voto dell’articolo 1 il ministro della Giustizia Mastella inizi a sparare sulla sua maggioranza che «si deve chiarire le idee sull’articolo 2». Messaggio indirizzato in particolare a Di Pietro che ha bollato la riforma come «sciagurata», tanto che sul testo pesano proprio gli emendamenti dell’Idv. Il j’accuse di Mastella colpisce nel segno e dopo pranzo, ancora con il boccone in bocca, i senatori dell’Unione sono costretti a un vertice di maggioranza. Un’ora e mezzo di riunione che si conclude con una sequela di sorrisi a uso dei cronisti. Accordo fatto e tutti alla conferenza dei capigruppo, che decide di contingentare i tempi ma non di porre la fiducia.
L’opposizione, intanto, torna a puntare il dito sui senatori a vita. Il capogruppo di Forza Italia Schifani, infatti, sottolinea come Andreotti, pur «privo di mandato popolare, si sia assunto la responsabilità di far entrare in vigore una controriforma che svuota una riforma legittimamente approvata dal Parlamento». Usa un’immagine cinematografica Bonaiuti, portavoce di Berlusconi, convinto che «sullo sfondo si sta delineando la parola Fine». Critico anche Castelli, presidente dei senatori della Lega, che si chiede se «questa Camera rappresenta veramente il voto popolare o se è illegittima». Una questione che affronta pure Calderoli durante il suo turno di presidenza. Perché, dice, «l’esito delle votazioni dipende anche da chi presiede l’Assemblea, visto che il presidente non può votare». Conclusione: «Quando le decisioni di una Camera sono legate alla casualità di chi presiede, siamo nella patologia».
Il pomeriggio va avanti senza troppi sussulti, con il centrodestra che dopo aver sfiorato il colpaccio si fa prendere dalla fatica. E in più d’una votazione la forbice con l’Unione si fa ampia, fino ad arrivare anche a 10 voti.

Di questi tempi, davvero un’enormità.

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