da Istanbul
Non lo lasciano in pace nemmeno adesso che è morto. L'odissea giudiziaria di Hrant Dink, il giornalista armeno ucciso lo scorso 19 gennaio da un fanatico perché aveva insultato la Turchia, continua. Il tribunale di Sisli sta riesaminando gli atti di un processo che Dink aveva subito nel 2006, il secondo nella sua vicenda legale.
Il direttore del settimanale Agos era stato messo sotto accusa perché, in un articolo datato 13 febbraio 2004, aveva parlato della purezza del sangue armeno. Si tratta di uno dei pezzi più controversi del giornalista: in realtà Dink voleva semplicemente dire che gli armeni sono unetnia distinta e che per questo il loro sangue è diverso da quello dei turchi. Unaffermazione che molti nazionalisti hanno scambiato per un insulto alla nazione. Fu per questa frase che lavvocato ultra-nazionalista Kemal Kerincsiz mise Hrant Dink sotto processo, con laccusa di aver violato larticolo 301 del nuovo codice penale e aver offeso lidentità turca. Anche il killer del giornalista, Ogun Samast, ha confessato di aver ucciso perché aveva letto su internet «la frase che offendeva il sangue turco».
Alla fine del processo Dink era risultato colpevole ed era stato condannato a sei mesi di carcere. La pena, però, era stata sospesa dalla Yargitay, la Suprema Corte turca, con la motivazione che larticolo, letto nella sua interezza, non risultava offensivo per lidentità nazionale. Il giornalista si salvò dalla galera, ma non dallira del suo assassino e da quella di Kerincsiz, che ha chiesto e ottenuto la riapertura del caso. Così, martedì mattina, i dossier con il nome di Dink sono ricomparsi sui tavoli della seconda sezione penale del tribunale di Sisli. Alludienza ha partecipato Karin Karakasli, accompagnato da un team composto da ben 33 avvocati. A guidare la squadra Fethiye Cetin, che ha annunciato che sul caso potrebbe arrivare a pronunciarsi anche la Corte Europea per i diritti umani. E qui la beffa. Il giudice, Hacer Bayraktar, ha detto che sulla condizione di Dink «bisogna fare chiarezza», aggiungendo che per gli archivi comunali, nonostante siano passate tre settimane dalla morte, il giornalista risulta ancora vivo e quindi perseguibile penalmente. E quando il pubblico ministero, Ibrahim Atasu, ha chiesto che il processo venga sospeso per morte dellimputato, Bayraktar ha aggiornato la seduta al 14 giugno. Nella speranza che Dink possa finalmente riposare in pace.
A distanza di tre settimane, lomicidio del giornalista armeno continua a far discutere, anche per i nuovi elementi emersi dalle indagini. Si è ora ufficialmente certi che lassassinio di Dink poteva essere evitato. Yasin Hayal, vera mente del delitto, aveva messo una bomba nel McDonalds di Trebisonda nel 2004 e, dopo 11 mesi di carcere, girava libero e indisturbato e diceva dopo pochi mesi che avrebbe ucciso Dink a Istanbul. Le autorità della città sul mar Nero non hanno tenuto conto della pericolosità dellindividuo. Per questo la settimana scorsa sono cadute le teste del governatore della regione e del capo della Polizia locale. Due giorni fa unaltra punizione eccellente: Ahmet Ilhan Guler, capo dellintelligence di Istanbul, è stato sollevato dai suoi incarichi. Sapeva che a Trebisonda stavano preparando un attentato contro Dink ma non ha mosso un dito per evitarlo e nemmeno avvertito, stando alla versione ufficiale, il capo della Polizia di Istanbul.
Intanto, nonostante i proclami dei giorni scorsi, larticolo 301 del nuovo codice penale è sempre al suo posto. Se il premier Erdogan ha manifestato il proposito di avviare una discussione per modificarlo, il ministro della Giustizia Cemil Cicek ha detto che i lavori «non compaiono nellagenda parlamentare».
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