Il giustiziere in cella: "Non sono razzista"

Si è costituito Giorgio Pignoli, ricercato per le aggressioni ai filippini in piazza Prealpi: "Questi sono dei violenti. Con gli stranieri per bene io non ho problemi"

Il giustiziere in cella: "Non sono razzista"

L’aria spaesata, al settimo piano del Palazzo di giustizia. Il volto tirato nonostante l’abbronzatura. Da due giorni, Giorgio Pignoli è a Milano. La «latitanza» a Sharm-el-Sheick è finita. Ieri, il ricercato per le aggressioni ai filippini di piazza Prealpi si è presentato spontaneamente in Tribunale. In un corridoio, i carabinieri del Nucleo informativo gli hanno notificato l’ordinanza di custodia cautelare. Quindi, un breve interrogatorio davanti al giudice. «Non sono un razzista», ha ripetuto. E «abbiamo solo reagito», perché «quelli hanno rovinato il quartiere». Ma quelli «non sono gli stranieri per bene, con cui non ho nessun problema», ma solo «un gruppo di persone violente». Poi, il trasferimento a San Vittore.
Niente arresti domiciliari, dunque, come già avvenuto per gli altri quattro ventenni arrestati nei giorni scorsi. Il pubblico ministero Piero Basilone, infatti, ha dato parere negativo alla richiesta avanzata dal legale di Pignoli, l’avvocato Marco De Giorgio. Sulla domanda di scarcerazione, in ogni caso, il giudice per le indagini preliminari Enrico Manzi dovrebbe decidere già domani.
Davanti al gip, l’uomo spiega che «non si tratta di razzismo», perché «con me lavorano peruviani e filippini, e con loro non ho mai avuto problemi». E «filippini sono anche alcuni amici di mio figlio». Piuttosto, il problema sono altri. «Sono le persone che hanno occupato il nostro quartiere, che si ubriacano e ci minacciano». O, peggio, che picchiano. E il racconto del commerciante di piazza Prealpi ritorna a quando, per aiutare un suo dipendente aggredito in strada da un gruppo di asiatici, è finito all’ospedale. «Sono loro che hanno riempito di botte me perché ho difeso una persona», spiega, ed è dopo quell’episodio che il figlio - assieme ad alcuni amici - ha deciso di farsi vendetta. «Ma io - continua - sono andato a prenderli in auto per portarli via ed evitare che gli facessero del male, poi le cose sono degenerate». È la sera del 24 maggio di un anno fa. Sono in quindici. Pignoli, e un gruppo di ragazzi. Alcuni di questi sono minorenni. Quasi una guerra tra bande. La procura li accuserà di violenza per motivi razziali ed etnici, lesioni personali e porto di armi. Ma «è stata solo una reazione». E se c’è stata una rappresaglia, è solo perché «denunciarli non sarebbe servito a nulla». «Non ce l’abbiamo con i filippini - assicura - ma solo con chi ha rovinato il nostro quartiere, e con chi si è dimostrato violento e pericoloso».


Così mostra un foglio al giudice, su cui sono raccolte le firme di solidarietà degli abitanti del quartiere. C’è quella del parroco, ci sono quelle dei residenti. Ma molte appartengono proprio a stranieri. «Vede? - dice al gip prima di essere portato a San Vittore - Lo sanno che non ce l’ho con loro».

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