«Giusto trattare i rom da mafiosi»

da Roma

Per Pierluigi Vigna, ex procuratore nazionale antimafia, quella imboccata da Ezio Basso potrebbe essere la strada giusta. Il pm di Mondovì, per la prima volta in Italia, ha contestato a gruppi di nomadi il reato di associazione per delinquere previsto dall’articolo 416 del codice penale. E ha ottenuto 300 arresti e 200 condanne, sostenendo che quella dei rom è oggi «la mafia del nord».
Ha fatto bene il pubblico ministero piemontese, dottor Vigna?
«Non si tratta di perseguirli in quanto nomadi, naturalmente. Ma in base alla norma che descrive questa fattispecie per chiunque si organizzi in tre o più persone con l’obbiettivo di compiere una serie di reati. Il fondamento è questo: provare che c’è una sorta di vocazione a delinquere, che l’associazione esiste. E allora la magistratura può intervenire, anche se i reati non vengono commessi, perché la stessa organizzazione già costituisce un pericolo per la comunità».
Sembra che lei consideri ovvia l’applicazione dell’articolo 416 anche in casi di gruppi di zingari: come mai allora non si è pensato prima ad usare questo strumento?
«Non so se è la prima volta, come dice lei. Certamente già per altri gruppi di stranieri, soprattutto dell’Est, ci sono state accuse di questo genere, ad esempio per lo sfruttamento delle persone, prostituzione e altro».
Qui si tratta di reati tipici dei rom, che da decenni sono stati individuati. Ma finora non sono mai stati riconosciuti come frutto di una precisa organizzazione che s’identifica con alcuni clan, bensì di criminalità per così dire spontanea.
«Di regola, se parliamo di persone che mandano i ragazzi a compiere scippi, borseggi, furti, e dietro c’è un gruppo che progetta tutto questo, l’associazione per delinquere può essere individuata».
Che cosa fa la differenza per contestare l’articolo 416, come si fa per la criminalità organizzata come mafia e camorra?
«Si tratta di provare che c’è una sorta di vocazione a delinquere e che è stata costituita una vera e propria associazione, con obiettivi, ruoli e compiti ben precisi».


Quasi sempre anche qui si tratta di famiglie, come per la mafia, che si dedicano all’azione criminale. Per sgominarle la strada scelta dal pm Basso può essere quella giusta?
«Certamente. Ripeto: non perché sono nomadi e solo se si può provare che l’associazione esiste».

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