Ma per Gm si profila la bancarotta

C’è anche la forca caudina della bancarotta nel possibile futuro di Gm e Chrysler. Barack Obama non l’ha esclusa, illustrando ieri il piano con cui intende risanare i due giganti malati dell’auto a stelle e strisce. A parte gli sgravi fiscali per incentivare gli acquisti, valutabili in 100mila unità in più, è inevitabilmente una cura da lacrime e sangue. Anche per sindacati e lavoratori, chiamati a garantire «maggior elasticità e sacrifici per consentire la ripresa» di un settore che nel 2008 ha visto saltare 400mila posti di lavoro.
Una medicina amara, resa necessaria dal «fallimento delle leadership da Washington a Detroit», ha detto il presidente, e dall’esigenza di «imboccare una strada nuova». Ripartire da zero. Senza dunque una presenza ingombrante come quella di Rick Wagoner, ex numero uno di Gm, di cui lo stesso Obama ha preteso e ottenuto la testa durante l’ultimo week-end. «Non è una sentenza di condanna - ha precisato il successore di Bush - . È piuttosto la consapevolezza del fatto che ci vorrà una nuova visione e una nuova direzione per creare la Gm del futuro. E sia chiaro che non abbiamo alcun interesse o intenzione di gestirla direttamente».
Basta e avanza, insomma, la nazionalizzazione di Aig, con la sua coda velenosa di polemiche causa bonus milionari che hanno rischiato di travolgere anche il titolare del Tesoro, Tim Geithner. E se la pioggia di miliardi sulle banche sembra non cessare mai, l’industria delle quattro ruote, benché «pilastro della nostra economia», un settore che gli Usa «impediranno che svanisca», non può invece dipendere «da un infinito flusso di capitali versati dai contribuenti». Più che un avviso, ha tutta l’aria della minaccia. Anche perché Obama, a fronte della richiesta di ulteriori aiuti per complessivi 22 miliardi (17 erano già stati incassati nel 2008), ha imposto alle due ex big di Detroit una tabella di marcia serratissima: entro 60 giorni Gm dovrà presentare un piano alternativo a quello bocciato nei giorni scorsi (e costato il posto a Wagoner dopo un colloquio con Steve Rattner, l’uomo di Obama alla guida della task force dell’auto) che prevedeva 47mila licenziamenti, la chiusura di diversi impianti e la vendita di alcuni marchi, fra i quali Saturn e Hummer. In questo arco di tempo saranno garantiti i capitali necessari per mantenere in vita il gruppo; a Chrysler viene concesso ancora meno tempo - appena un mese - per definire l’allenza con Fiat. L’intesa con il Lingotto, considerata dall’ad di Chrysler, Bob Nardelli, ormai fatta anche se restano ancora ostacoli, è la condizione essenziale per l’ottenimento dei 6 miliardi di nuovi mezzi freschi.
Se i due gruppi non rispetteranno i tempi, l’alternativa rischia di essere una sola: la bancarotta. Obama ha tuttavia precisato che in questo caso si tratterebbe di una procedura pilotata dal governo. «Quello di cui sto parlando - ha spiegato - è di utilizzare la nostra struttura legale come uno strumento che, con l'appoggio del governo americano, possa aiutare Gm e Chrysler a risolvere la questione dei vecchi debiti che gravano su di esse in modo che possano poi rialzarsi e incamminarsi verso il successo».

Il presidente ha anche ricordato come l’amministrazione controllata permetta ai lavoratori di continuare a produrre auto e non sia assimilabile a una liquidazione. Per le due case, comunque, si tratterebbe di un marchio poco edificante. Gm, infatti, ha già dichiarato di essere contraria a qualsiasi azione di risanamento che passi dalle aule dei tribunali.

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