Il governo accelera sui tagli alla Casta

Roma Uno «scambio di opinioni», un caffè e una mezz’oretta di cordialità di rito. Roberto Calderoli sale sul Colle a metà mattina, portandosi appresso la bozza della riforma istituzionale: dal taglio dei parlamentari al Senato federale, dalla sfiducia costruttiva fino alla famosa «soppressione» delle Province, da sostituire però con degli enti intermedi o con delle associazioni di Comuni. Questi, in sintesi, i punti chiave del testo che il ministro consegna solennemente al Capo dello Stato. Giorgio Napolitano accoglie con un sorriso un testo che peraltro già conosce bene. È la quarta volta, spiegano al Quirinale, cioè da quando a luglio è stato approvato dal Consiglio dei ministri, che Calderoli lo ri-presenta al presidente.
Poco male. Quello che conta, per il ministro della Semplificazione, è il gesto politico, l’avviso agli alleati. «Sono andato sul Colle - conferma - a illustrate la bozza della riforma istituzionale». Una mossa che alla Lega serve a bloccare sul nascere le idee di modifica della legge elettorale, o quantomeno a trattare in posizione di forza. I referendari che vogliono tornare al Mattarellum sono ormai vicini al raggiungimento delle 500 mila firme necessarie, e anche il segretario del Pdl Angelino Alfano ha proposto di introdurre un sistema alla spagnola.
Ma Calderoli difende il suo Porcellum. «Prima faremo la riforma istituzionale - spiega - e poi parleremo della legge elettorale». Se però si arrivasse il referendum, prevede Roberto Formigoni, il Carroccio staccherebbe la spina al governo e si andrebbe al voto nel 2012. «Formigoni chieda pure le primarie nel Pdl - replica il ministro - ma lasci alla Lega la sua autonomia. Oppure venga a fare le primarie da noi».
Al di là della scaramucce, resta l’accelerazione su un testo che sembrava quasi congelato. La bozza, approvata a Palazzo Chigi a metà luglio, è stata rilanciata solo qualche giorno fa dal governo, che ha deciso di «trasmetterla con urgenza alle presidenze di Camera e Senato per avviare l’iter legislativo». Tre gli snodi principali della riforma: fine del bicameralismo perfetto, taglio di 445 parlamentari, rafforzamento dei poteri del premier. Palazzo Madama si trasformerebbe in un Senato federale composto da senatori (almeno cinque per Regione, eletti contestualmente ai consiglio regionali» e da altri rappresentanti della autonomie. Solo su poche importanti materie le leggi avrebbero bisogno di una doppia lettura. Negli altri casi, la competenza sarebbe di una sola Camera. Dimezzati gli onorevoli: oggi sono 630 a Montecitorio e 315 a Palazzo Madama, dopo la riforma diventerebbero 250 per Camera, 500 in tutto. E le indennità sarebbero corrisposte in base alla partecipazione.
Grossi cambiamenti pure per Palazzo Chigi, dove il presidente del Consiglio si trasformerebbe in primo ministro, con il potere di revoca sui membri del governo e con la possibilità di chiedere al capo dello Stato di sciogliere il Parlamento. E sarebbe la sola Camera a votare la fiducia all’esecutivo: ma una norma «anti-ribaltone» prevede la sfiducia costruttiva con l’indicazione del nuovo premier, sempre nell’ambito della maggioranza che ha vinto le elezioni.
Altre novità, l’acceleratore per le leggi urgenti, da votare entro 30 giorni, la cancellazione della circoscrizione estera, l’abbassamento dell’età per essere eletti. Fino alla questione più spinosa, le province. La bozza Calderoli le sopprime, salvo poi recuperarle, riciclandole in «forme associative tra i comuni». Si tratta di «enti intermedi», con «presidenti eletti», che le Regioni devono mettere in piedi per favorire il passaggio. Dunque, delle strutture, in teoria, provvisorie. Ma in Italia non c’è nulla di più definitivo del provvisorio.

Spiega Jimmy Crosio, deputato leghista di Sondrio: «Calderoli è stato molto chiaro, ha parlato di province regionali che manterranno identità e autonomia. Somiglieranno alle attuali province delle regioni a statuto speciale. Si occuperanno di viabilità, rifiuti, sviluppo, risorse idriche. In pratica, delle stesse cose di adesso».

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