Roma - Tiene l’asse Berlusconi-Bossi. Alla fine di un summit di due ore ad Arcore tra i vertici del Pdl (Berlusconi, Alfano, La Russa, Bondi e Verdini da una parte) e quelli del Carroccio (Bossi, Calderoli, Maroni, Cota, Reguzzoni e Giorgetti), si decide per la linea comune. Insieme fino in fondo con lealtà. Alla faccia dei traditori e delle manovre di palazzo. Da una parte un Berlusconi determinatissimo, restio a cedere alle ultime pressioni del «Silvio, fidati di Gianfranco, guida tu un nuovo governo che duri un annetto: usciamo dalla crisi e poi vediamo. Fidati, si può fare, si può fare... Ma comunque decidi tu». Niente da fare: di Fini, Berlusconi non si fida più. Vuole inchiodarlo alle proprie responsabilità: l’avere assassinato il governo delle riforme. Lo ripete da giorni a chi lo ha sentito: «Lui non sa cosa l’aspetta se andiamo a votare, cosa lo aspetta in campagna elettorale. E di certo non uscirà bene dalle urne». E ancora: a un deputato avrebbe confidato che «hanno cercato di delegittimarmi, mi stanno accerchiando, ma provo a resistere».
Il Cavaliere chiede alla Lega fedeltà e la ottiene. La strategia: parlamentarizzare la crisi, ottenere la fiducia al Senato, poi andare alla Camera e smascherare i finiani. «Mi devono sparare davanti al Paese intero. Vediamo se tutti avranno il coraggio di farlo». Il Cavaliere pensa che alla fine non tutti i futuristi si prenderanno una così grave responsabilità. «In tanti, nelle loro file, hanno dichiarato che non avrebbero mai fatto cadere questo governo. Stiamo a vedere se saranno di parola». Ma se poi fossero in pochi a smarcarsi (potrebbero essere tre o quattro, ndr), e comunque non sufficienti da tenerlo in piedi, beh... «Andremo dal capo dello Stato a dire che l’unica soluzione è sciogliere le Camere e andare al voto. Nessun governo tecnico, che sarebbe un ribaltone, anche alla luce del fatto che il Parlamento è spaccato in due».
Il primo passo infatti è quello di ottenere un voto favorevole prima al Senato, e poi alla Camera dove si dovrebbe andar sotto. Certo, ci sarebbe anche l’ipotesi di chiedere lo scioglimento di una sola Camera ma la strada è tortuosa. L’eventuale nuovo Montecitorio quanto dovrebbe durare? Cinque anni o solamente fino alla fine di questa legislatura? Si era mormorato anche della possibilità di chiedere di andare alle elezioni subito, a gennaio, posto che il redde rationem dovrebbe avvenire ai primi di dicembre, ossia dopo il via libera della Finanziaria. Ma anche questa ipotesi cozza con l’obiezione che sarebbe meglio accorpare le politiche con le elezioni amministrative, previste per la prossima primavera. Anche e soprattutto per una questione di costi.
C’è poi un altro aspetto su cui Berlusconi ha calcato la mano: «Se si riesce ad andare al voto per colpa di Fini - questo il ragionamento del Cavaliere - sarà obbligato a fare il terzo polo, a rinnegare ancora una volta la sua storia, le sue radici, il suo popolo. Non lo seguiranno in molti». La sfida è lanciata. Prova ne sia che il premier avrebbe intenzione di tornare in tv per denunciare i disegni del traditore e rivendicare quanto di buono fatto da questo governo, «nonostante Fini». Altro indizio: ai suoi avrebbe detto di stare pronti alla battaglia. Ossia: prove tecniche di campagna elettorale.
E la Lega? Oltre a esprimere contrarietà per l’indicazione del Cavaliere alla Moratti sindaco di Milano, già nel pomeriggio, con Maroni, aveva fatto capire come la pensava: «La Lega ha le proprie opinioni sulla soluzione della crisi - ha detto il ministro - Ma ovviamente la decisione finale è nelle mani del presidente del Consiglio. E noi lo sosterremo con lealtà, come sempre. La certezza è che seguiremo la soluzione più conveniente e più utile per confermare la governabilità». In primis la governabilità. Ma anche lealtà. Per il Carroccio l’exit strategy ideale passava o per un reincarico a Berlusconi con un nuovo governo con le sole forze che avevano vinto le elezioni del 2008 o il voto anticipato.
La seconda opzione è quella meno auspicata da Bossi. Per due motivi. Il primo: l’incubo del governo tecnico. I dubbi sulle prossime mosse del Quirinale qualora dal Pdl si staccassero troppi pezzi disposti a ingrossare il cosiddetto «partito del non voto», restano elevati. Il secondo: un Parlamento ingovernabile dopo l’eventuale voto anticipato. La vittoria del tandem Pdl-Lega potrebbe essere schiacciante al Nord.
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