Roma - Gli economisti de «lavoce.info» bocciano Tommaso Padoa-Schioppa sui conti pubblici. Questa volta nel mirino di Tito Boeri e Pietro Garibaldi (entrambi docenti all’Università di Torino) entra la gestione del cosiddetto «tesoretto».
I due comparano le previsioni di entrate fiscali e contributive contenute nella Relazione previsionale e programmatica del settembre 2006 e la Nota di aggiornamento al Dpef presentata nel settembre scorso. Dal confronto fra i due documenti, emerge un maggior gettito di oltre 16 miliardi di euro; di questi, 13 miliardi di maggiori entrate tributarie. Il «tesoretto» vero e proprio è stato quindi pari a più d’un punto di Pil.
Questi 16 miliardi di euro sono stati utilizzati dal governo per aumentare la spesa per 11 miliardi; e solo 5 miliardi per la riduzione del deficit. Non è finita. Secondo gli economisti de «lavoce.info» (che non hanno utilizzato documenti segreti, ma atti ufficiali del ministero dell’Economia), la maggiore spesa è stata concentrata in quella corrente; mentre quella per investimenti (in conto capitale) è addirittura diminuita.
Questi dati - commentano Boeri e Garibaldi - dovrebbero essere mostrati «a ogni studente d’economia, in quanto dimostrano chiaramente il meccanismo del tax push». E spiegano: «Quando le entrate tributarie aumentano, si finisce sempre per trovare un modo di spendere queste risorse aggiuntive, anziché utilizzarle per tagliare il debito».
Per queste ragioni - ribadiscono i due economisti - «un aggiustamento dei conti pubblici incentrato sull’incremento delle entrate non potrà mai essere duraturo. Per risanare i conti pubblici - osservano - bisogna ridurre la spesa pubblica, che invece viaggia come un treno in corsa: continua ad aumentare del 2% reale ogni anno, quale che sia il colore politico del governo in carica».
Proprio per evitare la pratica del «tax push» (vale a dire, l’inseguimento delle maggiori spese a fronte di più entrate) il Patto di stabilità europeo è categorico. Ogni euro di extragettito deve andare a riduzione del deficit (e, di riflesso, del debito). Ed è per queste ragioni che a ogni Ecofin Padoa-Schioppa viene preso di mira dai colleghi europei. Se avesse usato quel punto di Pil di «tesoretto» come chiesto dal Patto, l’Italia oggi avrebbe un deficit ampiamente inferiore al 2% del Pil; pronta, cioè, a raggiungere il pareggio di bilancio: punto cardinale della politica economica europea.
Invece, quel deficit zero verrà raggiunto - secondo il documento del governo - nel 2011. Vale a dire, un anno più tardi del timing fissato con l’Ecofin di Berlino lo scorso anno. E questo proprio perché anche nel 2008 e nel 2009 il governo pensa di utilizzare il maggior gettito per finanziare maggiori spese. Un esempio per tutti, la legge finanziaria in discussione al Senato.
Senza manovra, l’andamento spontaneo dei conti pubblici (con il maggior gettito dirottato a riduzione del deficit) farebbe segnare il prossimo anno un rapporto deficit-Pil fermo all’1,8%. Secondo le stime del governo, una volta introdotta la Finanziaria (e le sue maggiori spese), il deficit sarà del 2,2%.
Vale a dire, appena lo 0,1% in meno rispetto al valore che verrà raggiunto quest’anno, secondo le previsioni dell’Economia. Da questa correzione, il giudizio della Banca d’Italia di un intervento «modesto» sui conti dello Stato ad opera di questo governo. E tutto perché il «tesoretto», prima ancora di averlo incassato, è stato già speso.
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