Biotestamento, unioni civili, adozioni. E ora anche i test sugli animali. Ogni volta che c'è da decidere su una questione etica, il governo rimanda o vara leggi a metà. Incapace di prendere una posizione netta, si rifugia in un «cerchiobottismo» che cerca di accontentare tutti: cattolici e laici, conservatori e progressisti, scienziati e animalisti. In realtà non accontenta nessuno. Il biotestamento arriva in parlamento con otto anni di ritardo rispetto al caso Eluana Englaro e, se non fosse stato per il rumore sollevato da dj Fabo e dalla sua scelta di morire in una clinica svizzera, probabilmente si sarebbe temporeggiato ancora. Le nuove frontiere delle adozioni non vengono stabilite dalla politica ma dalla giurisprudenza, che si insinua nelle zone d'ombra di una legge incompleta sulle unioni civili e riconosce la paternità a due coppie gay.
A quanto pare il governo non decide nemmeno sul futuro dei topi. Un mese fa il Senato ha stabilito che nei laboratori italiani si potranno effettuare test sugli animali ancora (o solo, dipende dai punti di vista) per tre anni, fino al 2020. Di fatto la legge che vieta la sperimentazione animale resta nel congelatore ancora per un po', poi si vedrà. Il voto suona tanto come una non decisione, come una volontà di rimandare a domani ciò che sarebbe troppo compromettente affrontare oggi. E così si scontentano tutti: gli scienziati, che speravano in una proroga di almeno cinque anni per poter dare più respiro ai progetti di ricerca, e gli animalisti, che speravano in un no secco contro gli esperimenti sugli animali. In sostanza l'Italia recepisce la direttiva europea ma la corregge subito. Vieta cioè l'uso di animali nelle sperimentazioni che riguardano la ricerca sugli xenotrapianti (i trapianti tra specie animali diverse) e sulle sostanze d'abuso, compresi alcol e tabacco. Sollevando il malcontento generale.
Le ragioni della scienza
Il «ni» sulla sperimentazione animale dà un ulteriore colpo di grazia a una ricerca bistrattata e perennemente in attesa di fondi. Nei laboratori si insegue un solo ed unico commento sulla questione: «Stiamo perdendo un enorme treno e l'Europa ci lascerà indietro». Di fatto l'Italia fa la parte di un paese che odia la scienza. «Con questa proroga di soli tre anni rischiamo l'esclusione da tanti progetti europei. Negli altri paesi continueranno a fare i test sugli animali, qui da noi no. Ci stiamo chiamando fuori dalle partire della scienza senza risolvere il problema» commenta Patrizia Hrelia, presidente della Società italiana di tossicologia e firmataria, assieme alla maggior parte dei ricercatori italiani, della petizione dell'associazione Research for life che chiede di consentire i test animali almeno per cinque anni. «Se esiste ancora la sperimentazione animale non è perché noi ricercatori siamo sadici - sostiene - ma è perché il nostro obiettivo primario è la salute».
L'utilizzo degli animali nei laboratori resta alto ma è anche vero che dalla fine degli anni Novanta a oggi c'è stata una riduzione del 40% dell'utilizzo dei topi. E i cani usati per gli esperimenti sono calati del 70%, in particolar modo dopo il caso di Green Hill. Ad oggi vengono utilizzati soprattutto i pesci-zebra, la drosophila, cioè il moscerino della frutta, e i maialini nani. Del resto i test di ogni farmaco o sostanza potenzialmente tossica sono obbligatori per legge dal 1965 prima di immettere sul mercato qualsiasi tipo di prodotto. In ogni caso gli istituti di ricerca utilizzano i test sugli animali solo per il 20% delle ricerche, per il restante 80% si affidano ad altre metodologie: principalmente in silico, cioè con simulazioni al computer, e in vitro.
«Utilizziamo i topi perché non esistono metodi altrettanto validi - sostiene Giuliano Grignashi, segretario generale di Research for life -. Su quelli bisogna investire al massimo ma ora non possiamo rallentare la ricerca. E poi, diciamolo, se non ci fossero stati i test sugli animali, oggi non avremmo farmaci che ci salvano la vita». I ricercatori si scagliano contro il cosiddetto «animalismo anti specista», cioè quello che dà lo stesso valore a un roditore e a un bambino. «Non si faccia leva su sentimenti irrazionali per dire no alla sperimentazione».
«Il topo non è sostituibile in laboratorio, non esiste nessun modo per simulare le reazioni umane in vitro o su computer» è lapidaria Nicoletta Landsberger, docente all'università di Milano e biologa molecolare al San Raffaele specializzata nelle ricerche sulla sindrome di Rett, una grave malattia neurologica congenita che colpisce soprattutto le bambine. Il suo lavoro è stato premiato anche dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ed è proprio lei a lanciare una proposta per migliorare la situazione senza rinunciare (per il momento) all'utilizzo delle cavie. «Ci rendiamo tutti conto che la percentuale di fallimento degli esperimenti in laboratorio è molto alta - sostiene Landsberger -. Spesso si fanno errori legati ai tempi di somministrazione della sostanza da testare sbagliando nel fare una proporzione tra la vita media del topo e quella dell'uomo. È importante che gli animali siano utilizzati meglio. Ad esempio, bisogna fare in modo che il corpo di un roditore morto sia utilizzato per il maggior numero di esperimenti ma per questo serve un maggiore coordinamento tra i gruppi di ricerca». Da qui un appello agli animalisti: «Ci aiutino a coordinare le attività. In questo modo salverebbero un numero sempre più alto di animali e ci aiuterebbero a mettere a fuoco gli errori nel passaggio del test dalla fase pre clinica a quella clinica».
Gli animalisti
Le associazioni che difendono gli animali non vogliono sentire ragioni. Vogliono eliminare dai laboratori topi, cani, anfibi, pesci e uccelli. Punto. Ma non solo per ragioni di sensibilità. «La sperimentazione animale non è un modello attendibile - sostiene Michela Kuan, biologa responsabile dell'area ricerca senza animali della lega anti vivisezione Lav -. Ci sono studi finanziati da vent'anni a questa parte che non portano a nessun risultato. La percentuale di fallimento in laboratorio riguarda il 90% delle ricerche. Evidentemente è ora di cambiare strada. Il divieto ai test era un'opportunità per dare le gambe ai metodi alternativi, come di fatto chiede la direttiva europea. Invece in Italia li ostacoliamo. Gli animali vengono sottoposti a torture incredibili per cosa? Per trovare una pillola che tamponi gli effetti della cocaina? E se la si trova che si fa, la si mette in commercio? Sarebbe immorale».
Gli animalisti sostengono che per studiare gli effetti di alcol, nicotina e droghe, si possano utilizzare altri metodi. Ad esempio la Germania, dove il problema dell'alcol è molto diffuso, ha investito parecchio per ricreare in laboratorio un fegato umano e utilizzarlo per la ricerca. Anche in Italia esiste qualcosa del genere: i ricercatori dell'università Campus Biomedico di Roma hanno riprodotto un fegato su chip in 3D, ottenendo un modello in grado di simulare ciò che avviene nell'organismo umano e utile per studiare la steatosi epatica, patologia dovuta a un sovraccarico delle cellule del fegato.
La rabbia dei movimenti degli animalisti si concentra soprattutto contro il calvario a cui vengono sottoposte le cavie: «Vengono costrette al fumo passivo, all'alcol e alla droga. E i risultati non si vedono». Di contro le associazioni che lottano contro la sperimentazione animale chiedono di investire di più nelle vie alternative, per cui a oggi non si superano i 500mila euro. Sabato prossimo e all'inizio di aprile la Lav scenderà in piazza per raccogliere firme e chiedere al governo di destinare alla sperimentazione senza animali il 50% dei fondi della ricerca italiana.
Il caso di Ispra
Se da un lato l'Italia non brilla per gli investimenti nei metodi di ricerca alternativi, dall'altro lato è il paese che dà l'ok a tutti gli esperimenti senza animali proposti dall'Europa. Il timbro di convalida per l'avvio dei finanziamenti ai ricercatori europei arriva infatti da Ispra dove ha sede, dal 2011, il centro di referenza per i Metodi alternativi, benessere e cura degli animali da laboratorio. Come funziona il meccanismo? I metodi alternativi devono essere in grado di testare le migliaia di sostanze chimiche contenute nei prodotti che acquistiamo ogni giorno. Ma con le sperimentazioni in vitro ci vogliono diversi mesi, o persino anni, per generare i dati necessari. Per far fronte a questo problema, il centro Eurl Ecvam utilizza un robot, in grado di produrre molto più velocemente i risultati richiesti e di valutare, in un solo esperimento, fino a cento prodotti chimici.
Nel 2013 dai laboratori sono
usciti due metodi in vitro per testare le irritazioni oculari sono stati accettati dall'Ocse e sono a disposizione delle imprese di tutto il mondo. In questo modo sono stati ridotti i test chimici sugli occhi dei conigli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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