Cronache

Il governo sceglie l’uomo voluto dal porto

Il governo sceglie l’uomo voluto dal porto

(...) Luigi Merlo è stato scelto dal ministro Alessandro Bianchi che ha accolto i suggerimenti degli operatori portuali genovesi, ha preso atto del successo registrato da Merlo nel corso dell’incontro pubblico voluto da Claudio Burlando e soprattutto ha rifiutato le pressioni di buona parte del Partito democratico, del sindaco Marta Vincenzi e del premier Romano Prodi che facevano un tifo sfrenato per Paolo Costa, il veneziano, l’unico che Genova ha detto a chiare lettere di non volere al timone delle sue banchine.
La notizia era nell’aria, il testa a testa ormai ridotto a Mario Margini e Luigi Merlo si intuiva dalle sempre più stizzite esternazioni della sindaco, che non ha mai ritenuto esaurito il suo compito con l’indicazione di Costa a candidato, ma che anzi ha preteso (o meglio pretende ancora) fino all’ultimo di imporre il suo campione. Ieri pomeriggio il ministro Bianchi ha sciolto le riserve, pur non mettendo ancora la firma sull’atto. L’ufficialità può attendere questa mattina.
Ma da Roma a Genova la notizia impiega qualche secondo ad arrivare. In commissione trasporti, al Senato, la sanno praticamente tutti. E si attaccano al telefono. Lui, il vincitore, è impegnato in una riunione-fiume di giunta sulla finanziaria. E lì, a fine mattinata, arriva la telefonata di Prodi e Bianchi. È per avere l’ultima parola di Burlando, che ripete di non avere veti per nessuno dei tre candidati. Poi, un paio d’ore più tardi, un’altra chiamata a sorpresa, ma neppure troppo. È Bianchi che dice Merlo, complimentato dai colleghi. Lui però frena gli entusiasmi. Preferisce aspettare. Anche perché la scelta di Bianchi è senza dubbio il passo decisivo, ma non l’ultimo. La legge prescrive il «concerto» del ministro Antonio Di Pietro, che non deve suonare chissà cosa, ma esprimere un parere che almeno fino a ieri tutti indicavano più favorevole a Paolo Costa. Claudio Burlando, il presidente della Regione Liguria, ha ribadito anche ieri la sua «intesa» a priori. Tanto più per il «suo» uomo, nel senso di suo assessore ai Trasporti, che traslocando a Palazzo San Giorgio gli potrebbe al massimo procurare qualche grana per la scelta del sostituto. Ma anche per questo il governatore ha già le idee chiare. E le spiega in diretta agli assessori davanti a lui: nessun sostituto, deleghe distribuite tra colleghi. Così tanto per risparmiare sui costi della politica. Un gesto popolare in un momento in cui la popolarità non è la materia in cui Burlando va forte. Gli altri assessori accettano, concordano. La giunta perde un pezzo.
Burlando, d’altra parte, ha capito fin dal dibattito di Palazzo San Giorgio che Genova voleva Merlo. Ora che la «corsa» sembra conclusa, si può anche dire che il governatore quel giorno aveva riconosciuto la maggior concretezza del suo assessore rispetto agli altri due candidati. L’iter per portare Merlo a Palazzo San Giorgio, comunque, prevede un altro ostacolo mica da ridere. Il passaggio nelle competenti commissioni di Camera e Senato è previsto dalla legge. E se è vero che il giudizio dei parlamentari è obbligatorio ma non vincolante, la continua faida interna alla sinistra sul nome del presidente dell’Autorità Portuale di Genova può riservare non poche sorprese. Perché Paolo Costa ha certamente scontato, oltre al «no» secco degli addetti ai lavori preoccupati per l’arrivo di un «foresto», anche la scarsa simpatia raccolta nella sinistra radicale come commissario di governo per l’ampliamento della base Usa del Dal Molin di Vicenza. Sentimento che difficilmente cambierà dopo la scelta del comunista italiano Alessandro Bianchi. L’opposizione ha già bocciato l’intera terna per «assenza dei requisiti» dei tre candidati. Mentre il Pd potrebbe ripetere in commissione le spaccature che lo hanno contraddistinto finora sulla scelta del presidente per il porto. Una situazione talmente indecifrabile che rischia di allungare i tempi dell’insediamento ai vertici dell’Autorità Portuale.
Si potrebbe perciò ricorrere a un’eventuale prorogatio di qualche giorno dell’incarico a Giovanni Novi, in scadenza il 5 febbraio. E proprio l’ormai ex presidente parte all’attacco, minacciando di non essere disponibile per un incarico di servizio a tempo determinatissimo. Non per «gelosia», ma per stizza dopo le accuse che proprio ieri sono tornate a colpirlo in prima persona. Un’inchiesta del Secolo XIX ha riportato stralci di verbali di interrogatorio relativi all’inchiesta della procura di Genova sulla gara per il Multipurpose. Un’inchiesta che vedrebbe indagati Novi, Sergio Maria Carbone e altri nomi eccellenti. «Quanto pubblicato è vergognoso - accusa il presidente in scadenza di mandato -. Hanno tirato fuori una vicenda inesistente - ha concluso Novi -. Se sono indagato per concussione lo apprendo dall’articolo. Credo ci sia qualcuno che spinge. Hanno timore che resti con un po’ di prorogatio. È il risultato per aver messo ordine in porto».

Poi la stoccata: «Se però nessuna delle istituzioni mi difende in questa situazione, il 5 febbraio me ne vado, prorogatio o no». Chi può dare torto a Merlo che aspettare a cantare vittoria?

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