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Governo, si riparte dal vertice Silvio-Umberto

RomaDigerita la colomba pasquale, il Cavaliere si rimette a sedere. Ma sul tavolo, a partire da oggi, quando riceverà il Senatùr e i suoi uomini più fidati, ci sarà sempre la stessa pietanza. Da condire secondo il proprio gusto personale, e per questo difficile da far metabolizzare all’opposizione. Parliamo di riforme. Quelle «grandi», indispensabili, da fare «anche da soli» se necessario - come ripete il premier - per ammodernare il Paese. Così, a Villa San Martino, dove trascorre con figli e nipoti i due giorni in rosso sul calendario, Silvio Berlusconi sbircia dossier e si attacca al telefono. Con un obiettivo primario, più volte rimarcato: «onorare» il mandato ricevuto dagli italiani per «completare la rivoluzione liberale», portando a compimento, nei prossimi tre anni, l’intero pacchetto di riforme. Dalla giustizia al fisco, passando per la rivisitazione dell’architettura istituzionale: riduzione del numero dei parlamentari, superamento del bicameralismo perfetto ed elezione diretta del capo. Dello Stato o del governo si vedrà.
A propendere per la prima soluzione è intanto il Carroccio, che per mano di Roberto Calderoli si presenterà ad Arcore con una proposta che «cadrà a fagiuolo». Cioè il semi-presidenzialismo alla francese, senza doppio turno e con un maggiore bilanciamento dei poteri, da porre come naturale contrappeso al federalismo (fiscale e istituzionale), su cui la Lega farà valere non poco la propria forza, incrementata dal recente responso delle Regionali. Così, come anticipato al Giornale, per il ministro alla Semplificazione lo schema di partenza transalpino rappresenta, «con le giuste modifiche, il sistema che meglio si adatta all’Italia». Lo strumento adatto (da sempre auspicato pure da Gianfranco Fini) per portare gli italiani alla scelta diretta, senza filtri politici, dell’inquilino del Quirinale. Dove, sempre secondo Calderoli, potrebbe trasferirsi nel 2013 proprio Berlusconi. In quel caso, in uno scenario da «terza Repubblica», il primo ministro - pronostica sul Sole 24 Ore - sarebbe «leghista o amico della Lega». In «ordine di possibilità» troveremmo «Giulio Tremonti, Roberto Maroni o Gianni Letta». In caso di «coabitazione alla francese», invece, l’esponente del Carroccio indica il sindaco (Pd) di Torino, «Sergio Chiamparino». E Umberto Bossi? «No, sarebbe imbrigliato in un ruolo del genere. Lui è un capopolo, ed è un complimento». Ma a prescindere dal nome, appare evidente - per un ministro vicino al presidente del Consiglio - che questa opzione «metterebbe la parola fine sul controproducente toto-delfino». Per capirci: «Con il Cavaliere al Colle, chiunque sia il suo successore a Palazzo Chigi avrebbe un ruolo secondario».
Intanto, nel bilaterale con l’alleato leghista, Berlusconi chiederà quasi certamente a Bossi il «rispetto dei patti», per dirla con Ignazio La Russa, mollando il ministero dell’Agricoltura al Pdl. Casella fondamentale, nel suo scacchiere, per inserire magari Giancarlo Galan, a cui ha promesso l’ingresso nel governo, ed evitare che si avvii una sorta di mini-rimpasto.
Si parlerà di riforme e di Pdl, invece, nel prossimo faccia a faccia con il presidente della Camera, non ancora in calendario (forse verrà convocato per domani, unico giorno utile della settimana, a ridosso dell’ufficio di presidenza Pdl). Ma non c’è comunque fretta, trapela da entrambi i fronti. Anche perché, spiega Franco Frattini, «la ritrovata intesa sta nei fatti e non servirebbe neanche quel chiarimento tra i due di cui tanto si parla».

Chiarimento, sottolinea il ministro degli Esteri, che «hanno già dato gli elettori, con una scelta di campo ben chiara, che neppure Fini rinnegherà».

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