Il governo si schiera: «no» al referendum poi riforme condivise

Violante apre al dialogo, sinistra radicale contraria. Berlusconi scettico: temo il disorientamento del nostro elettorato

da Roma

Il più inutile dei dibattiti sulle riforme va in scena a venti giorni esatti dal referendum confermativo sulla devoluzione. Con Umberto Bossi che non fa altro che ribadire concetti più volte ripetuti nel corso degli anni («sul federalismo siamo disposti a dialogare con chiunque») e la politica che si confronta sulla presenta apertura del Senatùr. Che, peraltro, domenica sera ha semplicemente dato ai cronisti che l’hanno intercettato durante un comizio la più scontata delle risposte. «Nel caso in cui venga bocciata la riforma costituzionale è disponibile comunque ad aprire un tavolo?», è la domanda che viene rivolta al leader della Lega. Ovvio il responso: «Noi siamo sempre disponibili a riformare». Difficile che potesse dire il contrario, visto che la ragione sociale del Carroccio è da sempre la riforma dello Stato in senso federale (declinata negli anni da secessione a devoluzione). Al di là del merito e della strategia di Bossi (deciso a liberare il voto da ogni valenza politica e mitigare i toni), le sue parole bastano però ad aprire un vero e proprio dibattito. Che si concentra non tanto sul voto referendario, quanto sul dopo. E qui, salvo alcuni distinguo, sono tutti d’accordo: che si dialoghi pure. L’incomprensione, come è ovvio, resta sul merito del voto. Con il governo che promette di lavorare «con convinzione per il “no”» e la Casa delle libertà decisa a impegnarsi per «sì».
Il governo. La posizione dell’Unione viene formalizzata durante il seminario di San Martino in Campo. «Il governo - spiega Silvio Sircana, portavoce di Palazzo Chigi - lavora per il “no”, solo dopo il voto cercherà soluzioni condivise anche con l’opposizione». Chiosa il ministro delle Riforme Vannino Chiti: il referendum riguarda «un enorme pasticcio che farebbe tornare l’Italia indietro», perciò bisogna «dire “no”», poi «apriremo il confronto» per una modifica della Carta «con larghissime convergenze».
I Ds e la sinistra radicale. Sulla linea del governo anche Piero Fassino. «Prima di poter parlare di dialogo - dice il segretario dei Ds - è necessario togliere di mezzo questo brutto pasticcio». Più aperturista Luciano Violante, per nulla stupito dalle parole del Senatùr. «È la posizione che la Lega, e Bossi in particolare, hanno sempre sostenuto. A loro - spiega - interessa il federalismo e quindi chi è disponibile a lavorare su quel terreno è un loro interlocutore. E noi siamo disponibili: comunque andrà il referendum». Categorica, invece, la sinistra più radicale. Eloquente il commento del presidente della Camera Fausto Bertinotti: «Non si può dire: la gente va a votare, ma poi certi politici si metteranno d’accordo alle loro spalle». Ragionamento che Gennaro Migliore, capogruppo del Prc a Montecitorio, svolge al meglio: «L’apertura di Bossi dimostra che la controriforma della Cdl sta per essere sconfitta. Rispediamo al mittente la sua proposta di dialogo». Sulla stessa linea il leader del Pdci Oliviero Diliberto: «Nessuna trattativa con chi ha architettato lo smantellamento della Costituzione».
La Casa delle libertà. Perplesso, invece, il leader della Cdl Silvio Berlusconi. Che ufficialmente non si è pronunciato ma con i suoi avrebbe manifestato forte scetticismo su un possibile dialogo («dalla sinistra non ci si possono attendere aperture di credito, è inutile insistere in modo unilaterale, così rischiamo di confondere il nostro elettorato»). «La maggioranza - dice il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi - rende impossibile ogni forma di confronto a causa della manifesta volontà di ricercare lo scontro sia sul piano istituzionale che su quello politico». E il suo vice, Fabrizio Cicchitto invita a «una battaglia politica chiara e netta per il “s씻.

Dice «sì» al dialogo, ma dopo il 25 giugno, il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini. D’accordo il capogruppo di An alla Camera Ignazio La Russa. Con un corollario: «Se non passa il referendum difficilmente ci sarà un clima tale da consentire di approvare una nuova riforma in maniera condivisa».

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