da Milano
«Altro che petrolio e bollette, a settembre la vera stangata in arrivo è quella che ha preparato il governo: 25 miliardi di spesa che non si sa come coprire, compresi i sette miliardi previsti dal cosiddetto decreto tesoretto». Così il senatore di An Mario Baldassarri, viceministro dell’Economia durante il governo Berlusconi, delinea il preoccupante scenario d’autunno.
È dal Palazzo, a suo avviso, che dobbiamo attenderci la madre di tutte le stangate?
«Certo: ci sono i 21 miliardi di spesa previsti dal Dpef, altri due ci costerà il passaggio dallo scalone allo scalino pensionistico, e altrettanti il contratto del pubblico impiego, totale 25 miliardi. Peraltro, il deficit pubblico attuale parte dal 4% e il governo si è impegnato a scendere al 2,2% entro il 2008: ma non ha detto come intende fare. Taglieranno le spese o piuttosto aumenteranno le tasse?».
L’ottimismo sul famoso tesoretto, dunque, era ingiustificato?
«Il cosiddetto tesoretto in realtà è un falso di bilancio, ossia un gettito occultato. Oltretutto il provvedimento sull’extragettito varato ai primi di agosto è stato spacciato come decreto sociale, quando l’unico impegno in questo senso è l’aumento delle pensioni minime, a cui sono stati destinati solo 900 milioni, il 14% del totale. E gli altri 6 miliardi e 100 milioni di spese previste?».
Un fardello in più, che si aggiunge a quelli derivanti dal prezzo del petrolio.
«Diciamo piuttosto dall’oligopolio del petrolio: perché quando il barile aumenta salgono anche i prezzi, ma il contrario non avviene? Il ministro Bersani dà la colpa ai benzinai, ma farebbe bene a darla a se stesso».
In che senso?
«Basta fare i conti: se il prezzo al litro della benzina è di 1,33 euro, il prezzo industriale è di 65 centesimi, altrettanti le tasse di Stato, e il benzinaio incide soltanto per tre centesimi. Bersani quindi deve prendersela con se stesso per le tasse, e con il cartello delle compagnie petrolifere. Anzi, ancora con se stesso: visto che tra le compagnie c’è l’Eni che è controllata dallo Stato».
L’aumento della benzina, d’altronde, non è l’unico i: è allarme anche per gli alimentari.
«Anche qui bisogna considerare tutte le variabili: l’aumento delle materie prime incide sul prodotto finito, ma solo fino a un certo punto. È vero ad esempio che è aumentato il prezzo del grano, ma questo non giustifica i rincari previsti al consumo finale, legati piuttosto all’aumento dei margini. Il problema vero è la mancanza di concorrenza».
Non si direbbe, guardando il numero di negozi e supermercati.
«Non mi riferisco alla concorrenza alla distribuzione: quella è solo l’anello finale della catena. Manca invece la concorrenza sulle materie prime: ad esempio, in Italia ci sono meno di dieci grandi importatori di carne. È chiaro che poi è difficile controllare i rincari, una volta che il prodotto arriva in tavola».
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