
«È fondamentale trovare una soluzione per aggiornare queste regole all'emergenza che stiamo vivendo, per evitare che sembrino stupide e senza senso». Giancarlo Giorgetti non cerca giri di parole e al tavolo dell'Eurogruppo mette nero su bianco tutta la sua insoddisfazione. Il bersaglio è il Patto di stabilità riformato, che nella sua attuale architettura denuncia il ministro rischia di diventare un freno, anziché uno strumento di crescita e protezione collettiva.
Nel pieno di una fase storica segnata da tensioni internazionali e da un'accresciuta consapevolezza sulla necessità di rafforzare i sistemi di difesa europei, le nuove regole di bilancio sembrano non tenere conto della realtà. In particolare, Giorgetti punta il dito contro la cosiddetta clausola nazionale di salvaguardia: una misura che consente ai Paesi membri di aumentare temporaneamente la spesa per la difesa fino all'1,5% del Pil per quattro anni, evitando per questo di finire nel mirino di Bruxelles. Peccato che questa clausola, ad oggi, sia di fatto preclusa proprio a chi, come l'Italia, è già soggetto a una procedura per deficit eccessivo.
«Accettare l'invito ad aumentare la spesa per la difesa impedirebbe per sempre la nostra uscita dalla procedura d'infrazione», ha chiarito il ministro. Una situazione che, nella visione di Giorgetti, crea una palese asimmetria: chi è già in regola può godere di margini di manovra, mentre chi parte da una condizione più complessa non solo è escluso dai benefici, ma si trova persino disincentivato a investire in un settore strategico come quello della difesa.
«L'Italia si impegna a uscire tempestivamente dalla procedura d'infrazione. Tuttavia, registriamo un problema che dobbiamo risolvere», ha insistito. Il risultato è un Patto che, pur nelle sue vesti rinnovate, continua a fare distinzioni inaccettabili. «Con figli e figliastri», ha lasciato intendere il ministro, senza mai scadere nel tono polemico.
Le perplessità italiane si inseriscono in un dibattito più ampio, che a Lussemburgo ha visto sul tavolo anche la revisione del Mes. Il Consiglio dei governatori ha dato il via libera all'aggiornamento degli strumenti di prestito e assistenza, puntando in particolare su una maggiore efficacia degli strumenti precauzionali. «Il direttore generale Pierre Gramegna ha rivendicato che «il Mes rimane pienamente preparato a salvaguardare la stabilità finanziaria». Ma il dibattito europeo resta condizionato da un nodo che, almeno per ora, resta irrisolto: la mancata ratifica italiana del nuovo Trattato Mes. «Capiamo le difficoltà politiche italiane», ha ammesso il presidente Donohoe. Il punto non era all'ordine del giorno dell'Eurogruppo, ma continua a gravare sul percorso di piena attuazione della riforma.
Che rappresenta un altro paradosso europeo: l'Italia non può fare deficit per difendersi ma è invogliata a farlo per uno strumento come il salva-Stati cui - in caso di necessità - non potrebbe accedere per i suoi squilibri macroeconomici.