Se il giudice fa da "spalla" al magistrato

ccorre dire che quando la politica delega alla magistratura la morale, l'etica e l'onestà, il passaggio successivo non può che essere quello di delegarle anche l'amministrazione della cosa pubblica

Se il giudice fa da "spalla" al magistrato
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Le cronache giornalistiche di questi giorni si stanno occupando attentamente della riforma della giustizia, vista l’attualità del tema, dando particolare rilievo alla principale novità il disegno di legge di iniziativa governativa che punta ad introdurre: la separazione delle carriere dei magistrati. Fugo subito ogni dubbio: si tratta di una riforma giusta, che non delegittima la magistratura e che non ne mina autonomia e indipendenza. Una delle osservazioni critiche, ricorrenti in questi giorni, è quella per la quale la riforma non inciderebbe sulla qualità e sulla quotidianità dei servizi forniti dal sistema giustizia ai cittadini, ma sarebbe solo un «regolamento di conti» tra la politica e i magistrati. Le vicende di queste ore, che da Milano a Pesaro si allargano a tutta Italia, stanno a dimostrare il contrario.
Sarei curioso di sapere quanti tra i non addetti ai lavori sanno che in questa fase del procedimento l’attore unico è il pubblico ministero, con il giudice dell’indagine preliminare (gip) che fa da semplice «spalla». Proprio qui troviamo una delle criticità più gravi del sistema giustizia che ci inducono a sostenere la riforma. Il gip, che poi si trasforma in gup (giudice dell’udienza preliminare), era stato concepito all’alba del nuovo Codice di procedura penale, cosiddetto accusatorio, come vero controllore/contraltare del pm proprio nella fase in cui l’indagato e il suo difensore non toccano palla. Insomma, a garanzia dei diritti del cittadino, sino a quel momento all’oscuro di quanto gli si addebita, anzi spesso ignaro anche dell’indagine a suo carico. Bene proprio la figura del gip, per la contiguità di colleganza e anche fisica con il pm - spesso gli uffici sono l’uno accanto all’altro - ha fallito la sua funzione. Riportarla alla previsione originaria non sarebbe possibile senza la separazione delle carriere. Distinguere tra il funzionario dello Stato (perché di questo e di null’altro si tratta) deputato alla funzione requirente e quello designato per la funzione giudicante appare non opportuno, ma necessario.
Chiariamoci su un punto, separare le carriere dei magistrati è indispensabile per tanti motivi, ma se la riforma, ora in discussione in Parlamento, fosse utile anche solo per superare questa grave commistione tra pm e gip, approvarla al più presto sarebbe già un grande risultato per il sistema giustizia e per i cittadini.
Due considerazioni sono necessarie poi sul merito delle inchieste che ho citato. Occorre dire che quando la politica delega alla magistratura la morale, l'etica e l'onestà, il passaggio successivo non può che essere quello di delegarle anche l'amministrazione della cosa pubblica. Da quale follia è stata colta la nostra classe politica per consentire anche solo di pensare che, se un sindaco trae beneficio per la sua attività senza avere in cambio alcuna utilità materiale, ma solo consenso, questo possa essere assimilato ad un reato? Non penso a Trump (mi verrebbe da ridere), mi domando in quale Paese del mondo tale meccanismo sarebbe accettato o considerato accettabile.
Non si tratta di un problema che riguarda il singolo magistrato. Il problema è una classe politica imbelle, incapace di tenere la schiena dritta.

Quando lo capiremo forse l'Italia diventerà un paese «normale». Sino ad allora teniamoci questa pantomima, ricordando quanto diceva di noi De Gaulle: «L’Italia non è un paese povero, è un povero paese».
Come dargli torto?
*Presidente Fondazione Luigi Einaudi.

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