L’ovazione alla fine: 11mila persone adoranti, gli applausi, le mani al cielo, i sorrisi scambiati, l’emozione. Sul palco un uomo ispirato: George W. Bush. L’odiato Bush, lo sbertucciato Bush, l’ignorante, il gaffeur, lo sgrammaticato, il noioso Bush. I rimbalzi della vita cambiano le carambole: l’uomo che tutto il mondo ha visto come il peggior oratore della storia della Casa Bianca adesso fa il motivatore. Pagato per parlare a gettone e invogliare la gente a dare il meglio di se: un guru, un leader, un esempio.
A Fort Worth, in Texas, ricomincia l’esistenza dell’ex presidente che troverà il posto nella storia. Perché quando finirà la stagione dell’odio pacifista, allora finiranno anche i pregiudizi, le ironie, le critiche preventive. Bush è sgombro dell’eredità di otto anni in cui il mondo gli ha voltato le spalle, vede che oggi chi porta avanti le stesse guerre che portava avanti lui viene trattato diversamente, sa che la squadra dei sui detrattori è fatta da coloro i quali oggi osannano il suo successore che non ha cambiato la politica estera americana. Allora parla, George W. Parla di altro: di sé, di Dio, della gente, dell’America. Parla e piace. Sembra lo scherzo di uno sceneggiatore comico, una classifica di David Letterman, una battuta di Jay Leno. Ci hanno disegnato un Bush che sbagliava i verbi, leggeva male i discorsi, l’arruffone incapace di seguire anche il gobbo preparato dal suo staff. A braccio, libero dal ruolo istituzionale, uomo privato che diventa pubblico, si riscopre oratore. «È semplice inseguire la popolarità, ma la popolarità è un attimo fuggente». E giù con gli applausi.
Ventotto minuti di discorso, più o meno centomila dollari di compenso: l’hanno reclutato quelli di «Get motivated», gruppo specializzato in seminari di motivazione aziendale. Con loro c’era e c’è Rudy Giuliani: il sindaco della New York ferita dagli attacchi dell’11 settembre, un ex magistrato abituato al pubblico, alla gente, alla spinta nei confronti degli altri. C’è anche Steve Forbes, il miliardario dell’editoria, poi l’ex segretario di Stato Colin Powell, il leggendario presidente di Microsoft Rick Belluzzo, il campione Nba Tony Parker. Tutti trascinatori, tutti capaci di catturare la folla e portarsela in giro con la voce, con le parole, con i gesti. Il presidente che la stampa liberal americana ed europea ha raccontato come il meno popolare della storia Usa è entrato nel gruppo. Strano forse. Eppure efficace.
Dietro al leggio la gente ha visto uno capace di raccontare senza difficoltà: «Non vedo come si possa essere presidente senza affidarsi al Signore. Quando avevo 21 anni non vi avrei detto questo, ma ora che ne ho 63 vi posso dire che la sorpresa più sconvolgente della presidente è rendersi conto quanto ti aiutano le preghiere della gente». L’arena di Fort Worth buia, l’occhio di bue addosso al palchetto, poi le luci accese, la musica: Surfin’Usa dei Beach Boys. La gente in piedi, a ballare in attesa del discorso. Poi il buio di nuovo e l’occhio di bue stavolta sull’oratore. Era l’uomo delle barzellette: lo dicevano in modo sprezzante, aggressivo, spregevole.
Ora le barzellette fanno parte del modo di essere un leader che dice alla gente come fare per riuscire nella vita: scelse un tappeto per la Casa Bianca e per selezionarlo decise di prendere quello che rappresentava di più il suo ottimismo. È una stupidaggine. Però piace, perché adesso che non dà più fastidio all’America radical chic che conta nei media, anche le sue boutade fanno simpatia. Così quella del suo cane Barney e della cacca che ha dovuto raccogliere per non far arrabbiare i suoi nuovi vicini di Dallas, dove si è trasferito finito il mandato presidenziale. «Signori, la mia vita è cambiata». Undicimila risate. Undicimila applausi. Non piacerà a quelli che hanno la puzza sotto al naso, però alla gente sì: 19 dollari il biglietto popolare, 82 quello vip. C’era la coda a Fort Worth, ci sarà anche a San Antonio, il 2 dicembre quando parlerà di nuovo. In fila da un motivatore insospettabile.
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