La grana radicali spacca il partito e Bersani si mostra indeciso a tutto

RomaUn regalo di compleanno che Pier Luigi Bersani si sarebbe volentieri risparmiato, e per di più condito dai sardonici auguri di Marco Pannella. Il quale se la ride sugli «empiti espulsivi del caro Dario Franceschini», ora rimpallati al segretario del partito.
Il pacco-dono è il «caso radicali», che ha reso ancor più amaro il day after dell’ennesima fiducia regalata al pur malmesso governo Berlusconi. I sei deputati pannelliani non hanno votato la mozione contro il ministro Romano, per attirare l’attenzione sulla loro battaglia per la riforma della giustizia e per l’amnistia, e nel Pd si è scatenato il processo agli «intrusi». La sanzione richiesta da molti, Rosy Bindi ovviamente in testa, è stata l’espulsione immediata. Ma i dirigenti del partito l’hanno rapidamente scartata: si sono resi conto che sarebbe stata assai controproducente come immagine (già rabbrividivano all’idea di editoriali della grande stampa, per la serie «i comunisti non cambiano mai», conditi di rievocazioni di Magnani e Cucchi, i celebri «pidocchi nella criniera di un nobile cavallo» buttati fuori da Togliatti); e soprattutto che si sarebbe diviso il partito. Nel quale sulla questione (come sul resto dello scibile umano) ci sono posizioni molto diverse. Terzo - ma non ultimo - argomento che ha consigliato di tirare il freno: nella loro battaglia per l’amnistia (che il Pd si guarda bene dal condividere) Pannella e i radicali hanno uno sponsor autorevolissimo al Quirinale: Napolitano ha benedetto l’iniziativa ed è addirittura intervenuto all’incontro da loro promosso sulla questione carceraria, «una realtà che ci umilia in Europa», ha detto. L’espulsione dei sei deputati, che invece di votare hanno gridato «amnistia!», non sarebbe stata apprezzata sul Colle.
Così, la salomonica decisione proposta ieri dal capogruppo Franceschini, e sancita dal direttivo del gruppo Pd, è stata di rimandare la palla a Bersani. «La questione è politica e non può che essere affrontata tra partiti», spiega Franceschini. Bersani, però, vorrebbe evitare la patata bollente, e fa sapere che si tratta di una «vicenda parlamentare seria che riguarda i rapporti nel gruppo, ed è lì che va affrontata». Un surreale ping pong, per ora senza esito.
Contrari all’espulsione, nella riunione di ieri, erano i veltroniani, gli ex prodiani («Quando c’è una crisi familiare la colpa non è mai di uno solo», ha ricordato Ricky Levi), i Ds più liberal, gli ex radicali come Roberto Giachetti, e anche qualche ex Ppi. Franco Marini definisce «una boutade» l’idea dell’espulsione: «I radicali pongono problemi seri, come quello delle carceri». E Lino Duilio incalza: «Invece di perder tempo a punire i dissidenti, sarebbe meglio interrogarci sul perché il Pd non riesce a volare, nonostante la crisi del berlusconismo».
Pro espulsione, invece, l’ex ministro Cesare Damiano: «I radicali sono un corpo estraneo, sul lavoro ad esempio hanno posizioni troppo liberiste». Pronta la replica di Giachetti: «Vogliamo espellere anche Pietro Ichino, allora?». Ma i più oltranzisti sono i cattolici, da Fioroni a Giacomelli ai quattro deputati ultrà che ieri hanno scritto a Franceschini chiedendogli di liberarsi di loro come di «un equivoco imbarazzante». Un accanimento che non si spiega solo con l’insofferenza per i «miscredenti» radicali, ma con i movimenti sotterranei dell’area cattolica, ringalluzzita dal movimentismo Cei. Lo spiega un siparietto avvenuto a Montecitorio, dove il veltroniano (ma ex Fuci) Giorgio Tonini è stato avvicinato da Rocco Buttiglione: «Giorgio, lo hai sentito anche tu Bagnasco, no? Dovete darvi una mossa, se il Pd non vuole essere tagliato fuori.

Il nuovo soggetto cattolico sarà aperto a tutti, ma certo dovete dare un segnale forte di apertura sulle questioni sensibili, altrimenti resterete esclusi dal dialogo tra noi e il centrodestra». E la testa degli eretici radicali sarebbe certo considerato un ottimo segnale.

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