Granata, il finiano che cambia sempre maglia

«Azzeccagarbugli» o «Mister non ne azzecca neanche una»? Attraversando il corridoio dei passi perduti, quelli che fanno sempre più rumore nel Transatlantico di Montecitorio, Fabio Benedetto Granata si distingue. Se non altro per quella sua andatura snob, (una di quelle andature, per intenderci, che sembrano dire: «Sì-sono-qui-ma-solo-per-fare-un-favore-a-voi»).
Ama farsi notare, è innegabile. E s’inalbera se qualcuno, come il collega Amedeo Laboccetta glielo rinfaccia, ricordandogli «che i veri amici di Fini sono quelli che non cercano visibilità, sono quelli che quotidianamente si impegnano affinché l’accoppiata tra Berlusconi e il suo naturale successore non si sfasci». Perché lui la vede diversamente. E, per ribadire il concetto, rilascia un’intervista al giorno su ogni tema dell’umano scibile. Ieri, per esempio, sulle pagine del Riformista ha voluto dire la sua su argomenti di una certa attualità come la mafia, i pentiti e i presidenti del Consiglio, distillando, a conforto del lettore, alcuni interessanti statements: «Nel sud tutte le aziende si sono parate le spalle con Cosa nostra»; «basta gridare al complotto contro Berlusconi, così nel Pdl si copre chi non vuole fare i conti con la legge». «Io mi fido della magistratura e non mi convince questa storia che i magistrati non possono andare a parlare nei convegni o a dire cosa pensano da Santoro... ».
Nato a Caltanissetta il 17 febbraio del 1959, cresciuto a cannoli e cassatine al gusto e al profumo di Msi, l’indimenticato Movimento sociale di Giorgio Almirante, approdò alla sua prima, illustre carica politica, quella di vicesegretario del Fronte della gioventù, negli anni in cui lo guidava l’attuale sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Nel suo curriculum può vantare, tra l’altro, la vicepresidenza della «sua» Regione Sicilia, nella giunta guidata da Vincenzo Leanza e l’assessorato alla Beni Culturali con Salvatore Cuffaro governatore. Avvocato penalista, specializzato in beni culturali con un master realizzato nella sua città non ha mai tradito le sue origini sicule e isolane anche se, magari ha cambiato spesso pensiero e idee. Non per calcolo o strategie, tranquilli, ma solo e sempre perché lui è così. «Uno spirito libero e ribelle della politica», come si autodefinisce. Ma siccome è inevitabile che gli spiriti liberi, vagando qua è là prima o poi finiscano nella Rete di qualcuno eccolo, puntualmente finire, a suo tempo, in quella di Leoluca Orlando suo conterraneo. Un errore di gioventù? Innamoramento e amore, per dirla con Alberoni? Vallo a sapere. Certo che c’azzecca? Che c’azzeccato quella sua esperienza? A maggior ragione vista adesso che, a parte il suo avviato studio di penalista, ha un posto fisso nel cuore di Gianfranco Fini e intraprende per lui e con lui le battaglie più aspre per disarcionare il Cavaliere? Eppure, chi ha la memoria lunga, ricorda che, dopo la deviazione sulla strada dell’Orlando furioso, dopo i suoi primi proclami antimafia con la promessa di una lotta dura e pura per liberare la sua terra dai vari capibastone, quando rientrò in Alleanza nazionale, non si poteva di sicuro definirlo un «finiano doc» come adesso c’è scritto sulla carta d’identità. Macché. All’epoca era invece più vicino a gente come Maurizio Gasparri o Ignazio La Russa. Era grande amico di Stefania Prestigiacomo, forse anche per ragioni di campanile, e di Anna Finocchiaro, che invece è di un altro campanile politico. Ma alla cui ombra lui in verità, ama spesso indugiare. Perché da quando il buon Gianfranco decise di nominarlo responsabile del Dipartimento politiche culturali di Alleanza nazionale, anticamera del suo ingresso in Parlamento, lo si è visto prendere posizioni spesso più di sinistra che di destra. Come quando ha presentato la proposta di legge per l’insegnamento dell’educazione ambientale, quella sulla professione di guida turistica e fino al suo capolavoro: quella a doppia firma, con Andrea Sarubbi (Pd) sulla cittadinanza. Un provvedimento contrastato da tutta la Lega e su cui l’area An del Pdl si è spaccata in due. D’altra parte Granata mette spesso la sua firma sotto ordini del giorno o proposte di legge dell’altro fronte. Con Franco Narducci del Pd, con Luciano Sardelli del Gruppo Misto, con Marco Fedi (Pd) e con il suo grande amico Ermete Realacci, sempre del Pd, ma prima di tutto presidente onorario di Legambiente. Il movimento con il quale Granata si schiera puntualmente senza guardare in faccia ai colleghi di partito.


Tra le sue recenti battaglie quella per la tutela del Colle Tuvixeddu in Sardegna, iniziativa lanciata da Legambiente e sposata in pieno da Granata, guarda caso in contrasto con il Pdl sardo. Lo «spirito libero», insomma, mena sempre fendenti. Tanto che la collega Viviana Beccalossi preconizza: «Prima o poi Granata finirà per bastonare se stesso».

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