da Roma
«Mi sono dovuto ripetere tutto il tempo che si trattava di una fiction. E lo confesso: mi sono sentito molto in imbarazzo». Impacciato, esitante, pesa le parole una ad una, e non sembra esattamente entusiasta di quel che ha appena visto. Il procuratore capo antimafia Piero Grasso si è appena visto rappresentato dallattore Franco Castellano nella fiction televisiva Lultimo dei Corleonesi. E le sue reazioni esprimono soprattutto disagio: «Questa fiction ha scelto me, e solo me, come protagonista della vittoria dello Stato contro il boss Bernardo Provenzano. E questo mi fa sentire in imbarazzo, perché ignora le centinaia e centinaia di servitori dello Stato, carabinieri, polizia, magistrati, che hanno lavorato, come ho lavorato io, per ottenere questa vittoria. Capisco che per gli sceneggiatori della fiction io rappresentavo un simbolo, rappresentavo lo Stato. Ma forse proprio questo mi ha messo a disagio». Nel corso della conferenza stampa che ieri sera in viale Mazzini ha presentato il film, diretto da Alberto Negrin, qualche osservazione è stata fatta anche sullaccento settentrionale che lattore Castellano conserva pur interpretando il sicilianissimo Grasso. «È stata una scelta volontaria - ha replicato lattore -, volevamo infatti che la figura di Grasso non venisse regionalizzata, ma, in quanto simbolo dellintera nazione, avesse una fisionomia appunto più nazionale».
Solleverà curiosità, ma probabilmente anche insoddisfazione e polemiche insomma, la messa in onda di questo film-tv (domani in prima serata su Raiuno) che, scritto da Laura Toscano e Franco Marotta, con la collaborazione di Francesco La Licata, in poco meno di due ore pretende di tracciare ascesa e caduta del clan dei Corleonesi, da un piccolo centro della Sicilia nel 1948 fino ai giorni nostri con la cattura dell«Ultimo dei Corleonesi», appunto, il temibile boss Bernardo Provenzano. «Il rischio maggiore era evitare il fascino perverso dei mafiosi - ammette il regista, Negrin -, evitare cioè che diventassero degli eroi, sia pure negativi». «Le belve non possono essere simpatiche - aggiunge la sceneggiatrice Toscano -, così, per superare i rischi, abbiamo cercato di mostrare tutto il male provocato da questi uomini, per far capire bene di quali orrori sono stati capaci».
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