Grave in rianimazione Romano Mussolini ultimo figlio del Duce

Il jazzista 79enne è ricoverato da mercoledì al Pertini di Roma. I medici: la situazione è preoccupante, ma stazionaria

Cristiano Gatti

Anche Veltroni trepida, in attesa di buone notizie: «Roma fa il tifo per lui. Spero che guarisca presto. È una delle personalità più eminenti del jazz italiano». Per il sindaco dell’ecumenismo buonista, nel letto dell’ospedale Pertini c’è un glorioso jazzista che all’alba degli ottant’anni lotta contro i malanni e contro l’età. E nessuno può negare sia davvero così. Ma non si può nemmeno ignorare come l’anziano malato si chiami Romano Mussolini. Così, anche se il sindaco è in ansia per il jazzista, quello che sta seriamente rischiando la morte resta pur sempre l’ultimo figlio vivente del Duce, cioè l’ultimo attore protagonista della più grande tragedia italiana.
Sono punti di vista. Se «Waltere» s’inchina al famoso jazzista, tanti ragazzi d’oggi penseranno al papà di Alessandra, la turbolenta pasionaria della destra. E qualcuno, avendo notato l’altra sera in corsia la visita discreta di una diva, avrà magari realizzato come l’illustre malato sia pure cognato di Sophia Loren, avendo sposato una sorella Scicolone. Ma nonostante tutte queste annotazioni siano oggettive e innegabili, siamo comunque ai dettagli secondari della biografia. Nella grande storia d’Italia, dalla quale tutti gli augurano di congedarsi un po’ più in là, Romano Mussolini resterà per sempre il figlio eternamente devoto al personaggio che lui stesso, in un libro-omaggio, ha definito con un semplice titolo: Il Duce, mio padre. Come un testamento consegnato alla memoria, non più tardi di un paio d’anni fa, dopo aver conservato e taciuto per una stagione lunghissima.
In questo libro, così come nelle testimonianze e nelle interviste rilasciate a vario titolo, emerge sempre la consapevolezza di un’esistenza segnata. Agli inizi della storia, nei primi anni Trenta, Romano è un bambino privilegiato che cresce felice a Villa Torlonia, terzo e ultimo dei maschi Mussolini, attaccatissimo alla mamma Rachele. Di quella casa, quando recentemente se ne decidono i restauri, lui stesso rievoca malinconicamente le atmosfere leggere dell’inizio e l’incubo plumbeo della fine. Romano è quello che vive in prima persona uno degli episodi più pesanti della vita familiare, nel giugno del ’43. Nell’atrio della villa il papà ha fatto collocare un grande piatto d’argento, firmato dai campioni del mondo di calcio del ’34: chiunque può depositarci una lettera o una richiesta. Ma è proprio aprendo una di queste lettere, rigorosamente anonima, che il sedicenne Romano apprende un giorno della relazione tra il venerato papà e Claretta Petacci.
Chi è ancora, Romano? Un mese dopo, Romano è il figlio che riceve a Riccione, dov’è in vacanza con i fratelli, la telefonata angosciata della mamma. Lui sta discutendo con Ola, la prima moglie del fratello Vittorio, implorando il permesso di uscire per la prima volta con una ragazzina. Mentre si pettina e si profuma allo specchio, gli passano la signora Rachele: «Romano, stasera nessuno di voi deve uscire di casa, per nessun motivo...». Soltanto dopo gli racconteranno che quello stesso 25 luglio, a Roma, è iniziato lo sfacelo di un regime, e con esso della sua famiglia.
Depositario di tante verità, di tanta storia domestica, ma non solo. Romano è anche il ragazzo che a partire dagli anni Quaranta comincia il suo flirt eterno con il jazz, ascoltando su un grammofono a monovella i dischi stranieri acquistati da Vittorio. Diventerà un grande pianista. Per tutta la vita non farà altro che suonare e ricordare, ricordare e suonare, adeguandosi docilmente al duplice destino di artista e di figlio.
Alla fine, nell’autunno della vita, Romano è un uomo fiaccato da problemi cardiaci, ma anche un vecchio sereno. Dice un giorno, quando alcuni amici rilevano Villa Carpena, l’avita dimora romagnola comprata all’epoca da Benito e Rachele con i primi risparmi: «Non farò certo l’agente immobiliare. Per tutta la vita ho solo suonato. Non ho da parte una lira, continuo a suonare anche con due costole rotte.

Così come sono messo, posso soltanto essere il custode delle memorie familiari, per metterle a disposizione di quanti vorranno studiarle...».
Adesso scorrono le ore decisive. I medici definiscono il quadro clinico «preoccupante». Anche se Veltroni è in pena per il jazzista, sembra il momento di un semplice e silenzioso rispetto per l’uomo.

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