"Grazie a Ken Loach so di essere sexy"

L'attrice Naomi Watts protagonista de "L'amico fedele" con un alano di 70 chili

"Grazie a Ken Loach so di essere sexy"
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da Los Angeles

Vivere in un minuscolo appartamento di New York con un alano arlecchino di 70 chili, in un condominio che non permette animali e con una netta predilezione per i gatti. Sono queste le premesse de L'Amico Fedele, piacevole commedia drammatica, dal 5 giugno al cinema con Naomi Watts nei panni della protagonista, Iris, che riceve in eredità un enorme cane e con esso le scomodità, i problemi e l'incondizionato affetto che solo il migliore amico dell'uomo sa dare.

L'Amico Fedele è la trasposizione cinematografica, a cura di David Siegel e Scott McGehee che l'hanno sceneggiato e diretto a due mani, dell'omonimo romanzo di Sigrid Nunez, la stessa che con Attraverso la vita aveva ispirato Pedro Almodovar in La stanza accanto. Racconta di una scrittrice che all'improvviso si ritrova a dover affrontare la morte per suicidio del suo amico e mentore Walter (Bill Murray). Quest'ultimo gli ha lasciato una pesante eredità: Apollo, un alano arlecchino dagli enormi occhi tristi, uno azzurro e l'altro marrone. Dopo le innumerevoli difficoltà iniziali Iris si renderà conto di iniziare a sviluppare nei confronti dell'animale un attaccamento che non credeva possibile, e di riuscire a trovare in Apollo gli stessi difetti e pregi dell'amico scomparso. Apollo infatti è esigente, ingombrante e adorabile quanto Walter.

Signora Watts, che film è L'Amico Fedele?

«È un film sul lutto e sulla speranza. In passato ho interpretato spesso personaggi in lutto, madri, compagne, mogli. Questa volta è stato diverso perché Iris affronta la perdita di un amico attraverso il rapporto con questa magica creatura canina. Grazie ad Apollo la tristezza del lutto è stata meno pesante, c'è infatti nel film un sottofondo di speranza, e la speranza è rappresentata proprio da quell'enorme cagnone dagli occhi tristi».

Dicono che recitare con bambini e animali sia molto difficile.

«Bing - è questo il vero nome del cane - è l'eccezione che conferma la regola. È stato il coprotagonista più cooperativo che abbia mai avuto. Recitare in fondo non è altro che reagire agli stimoli ed essere disponibile e aperto agli altri, e lui era esattamente così».

C'è voluta della preparazione?

«Molta e per un periodo di tempo piuttosto lungo. Sei settimane prima di iniziare a girare perché era indispensabile che il cane si fidasse di me. Doveva comprendere che ero io il suo punto di riferimento sul set».

Ha coinvolto lei Bill Murray nel progetto?

«Sì, e nell'ambiente è noto quanto sia difficile anche solo mettersi in contatto con lui, ma avevamo già lavorato insieme (nel film St. Vincent, ndr) e gli ho mandato un messaggio, gli ho parlato del libro, che aveva già vinto numerosi premi e lui, contrariamente alle sue abitudini, mi ha risposto subito e ha accettato poco dopo aver letto il copione ed il libro».

Che persona è Iris? Ha qualcosa in comune con lei?

«Iris è una donna sola, che non si sente sempre connessa con le persone attorno a lei. Succede anche a me qualche volta di sentirmi così. Al contrario di lei io amo più i cani che i gatti, ma anche lei imparerà ad amare Apollo».

Come per Iris anche per lei il successo in carriera è arrivato tardi.

«Gli inizi sono stati difficili. Mi dicevano che non ero abbastanza divertente o abbastanza sexy. Ricordo una sera di essere tornata in lacrime dall'ennesima audizione andata male e di aver detto a mia madre che avrei dovuto cercare dell'altro perché non stava funzionando. Mia madre mi sgridò, disse che mi mancava autostima e che avrei dovuto essere me stessa. Lo feci».

E arrivò David Lynch con Mulholland Drive.

«Piacqui a lui e tutto cambiò».

Condivide con noi un ricordo di Lynch?

«L'ultima volta che sono stata a casa sua. Ero con Laura Dern (altra musa del regista scomparso a gennaio, ndr).

Abbiamo scattato alcune fotografie, poi involontariamente ne ho scattata una che mi sono ritrovata qualche giorno dopo sul telefono. Si vedeva un angolo della sua bella casa, un pezzo di cielo e due palme. Era l'essenza di David Lynch e di Los Angeles».

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