Politica

«Grazie Oriana», un libro sui suoi ultimi cinque anni

Un libro per dirle grazie. Per il coraggio, per la caparbietà, anche per quell’impossibile carattere che l’ha resa insopportabile a molti ma senza il quale l’Oriana non sarebbe stata l’Oriana. Grazie Oriana è il titolo del volume pubblicato dal Giornale, che i lettori troveranno in edicola il prossimo lunedì, 25 settembre, con il quotidiano. Ne è autore (con la collaborazione di Gianluca Tenti) Riccardo Mazzoni, direttore de Il Giornale della Toscana, che con la Fallaci ha avuto un’amicizia professionale e personale relativamente recente (dal 2002) ma molto intensa e anche un po’ burrascosa. È un ritratto a tutto tondo scaturito dall’intervista esclusiva che Oriana Fallaci rilasciò a Mazzoni per il settimanale Panorama, e completato da estratti di suoi articoli e da ricordi personali di Mazzoni che racconta aneddoti inediti degli ultimi anni della giornalista, con una parentesi privata di alcuni giorni di vacanza trascorsi insieme in Versilia.
Il libro non è un instant book buttato lì in quattro e quattr’otto, tanto per rispondere all’ondata emotiva provocata dalla scomparsa della Fallaci. È un progetto che risale a un anno fa, voluto, anzi caldamente sollecitato dalla stessa Fallaci che aveva conosciuto Mazzoni in occasione del Social Forum di Firenze (quando si era duramente opposta all’amministrazione di centro-sinistra) e nutriva per lui una profonda stima. «Lei deve scrivere un libro su di me», insisteva al telefono da New York, per vincere la riluttanza dell’interlocutore. E il libro è nato, lei ne aveva già letto le bozze: un percorso cronologico che parte dal momento in cui la Fallaci, dopo l’11 settembre 2001, rompe clamorosamente il suo decennale silenzio. È anche un excursus su cinque anni della nostra vita, segnati da eventi tremendi (dopo New York, le stragi di Madrid, di Londra, di Sharm el Sheikh), visti da una testimone che non ha mai nascosto la propria passionalità.
È proprio questo approccio viscerale alla vita del mondo, alla politica, alle contrapposizioni di civiltà ad aver reso spesso perplessi i lettori che pure avevano ammirato tanti anni fa, nella grande inviata, il ritmo trascinante del racconto. Gli stessi lettori che ne ricordavano le polemiche antiamericane, anti-israeliane, filo-palestinesi. Mazzoni ribatte fermamente all’accusa di incoerenza: «Chi accusa di incoerenza la Fallaci non la conosce bene o è in malafede. In realtà il suo percorso, apparentemente contraddittorio, è assolutamente lineare nel profondo. La Fallaci è una donna di sinistra che va a Saigon e racconta gli errori americani. E la sinistra la mette sugli altari. È la stessa donna di sinistra che va ad Hanoi e racconta gli orrori comunisti. E la sinistra le volta le spalle. Non è lei che è cambiata. Lei era ed è sempre rimasta una che si batte per la libertà, una libertaria, un’anarchica».
Da New York Oriana chiamava spessissimo Mazzoni. «Diceva: “Lei è l’unica persona a cui telefono”, in realtà chiamava cento persone al giorno. Si informava su tutto, voleva sapere quello che si diceva o si scriveva di lei perché è sempre stata un’egocentrica, questo lo sanno tutti. Ma si sentiva anche molto sola, soprattutto incompresa nella sua veemente battaglia per mettere l’Occidente in guardia contro l’islamismo. Incompresa anche come persona. Confessava: “Dicono che mi metto in mostra, ma io vivo isolata, non vedo mai nessuno”. Ed era vero».
Mazzoni, che era stato incaricato da Oriana di ritirare in sua vece l’Ambrogino d’Oro conferitole dal sindaco di Milano Albertini, fu anche invitato a New York quando la Fallaci parlò al consolato italiano il 21 febbraio di quest’anno in occasione della medaglia d’oro offertale dalla Regione Toscana. «Purtroppo quell’invito fu all’origine di un quiproquo che danneggiò non poco i nostri rapporti - ricorda Mazzoni - quando per una serie di coincidenze malevole, complici il maledetto fuso orario e i cellulari che non prendevano, il mio articolo sul Giornale uscì prima di quello di Oriana su Libero. In pratica le avevo dato quello che in gergo chiamiamo un “buco”, ma del tutto involontario. Lei mi fece una sfuriata tremenda e non ci sentimmo più. La richiamai il 29 luglio, per il suo compleanno. Mi disse che stava morendo. Ma siccome lo andava dicendo da quattro anni, non ci feci poi troppo caso.

Invece stava proprio morendo».

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