Graziella Quattrocchi, sorella di Fabrizio, risponde alla giornalista del «manifesto» che aveva detto: «Ciampi non doveva dare la medaglia a un mercenario» «Anche la Sgrena è andata in Irak per soldi»

Diego Pistacchi

da Genova

«Non mi interessa». Graziella Quattrocchi non si scompone. Giuliana Sgrena ha attaccato il presidente Ciampi per la medaglia d’oro concessa alla memoria del fratello Fabrizio, il bodyguard ucciso in Irak, ma Graziella non fa una piega: «Non voglio dibattere con lei», si limita a ribadire, senza mai nominare la giornalista del manifesto rapita dai guerriglieri e liberata con il sacrificio di Nicola Calipari. Non vorrebbe andare oltre perché la polemica è sterile, tutta ideologica, probabilmente dettata anche dal livore per una decisione che ha ridicolizzato tutte le cattiverie sparse sulla memoria di Quattrocchi. «Mi pare che il presidente Ciampi abbia già risposto più che a sufficienza con i fatti a tutte queste cose - aggiunge Graziella -. Cosa dovremmo fare noi? Metterci a ribattere a tutte queste affermazioni? Diventerebbe una storia infinita».
Vorrebbe chiuderla qui, la sorella di Fabrizio. Ma le parole della Sgrena sono troppo gravi per non meritare almeno qualche domanda più insistente. Perché la giornalista tornata sana e salva a casa grazie all’eroismo di un poliziotto di quei servizi segreti tanto vituperati dalla sinistra, ha attaccato Ciampi proprio per aver onorato «un mercenario, perché Quattrocchi non era in Irak per motivi particolarmente nobili: era un mercenario. Era andato là per soldi».
Alla fine Graziella Quattrocchi non ce la fa più e risponde all’accusa più infamante, quella che buona parte della sinistra ha in qualche caso solo fatto finta di mettere da parte, ma che ritorna a ogni occasione utile. «D’accordo, mio fratello era lì per lavorare, certo - si sfoga brevemente la sorella -. Faceva il suo lavoro e per questo veniva pagato. E allora? Ma quella signora cosa faceva in Irak? Non era forse lì anche lei per lavorare? Non guadagnava anche lei dei soldi? Credo piuttosto che voglia solo fare pubblicità al suo nuovo libro». La definizione di «mercenario» viene insomma rispedita direttamente al mittente. Se lavorare in un Paese dove c’è la guerra significa essere mercenari, il bodyguard non era certo l’unico a farlo. E non dev’essere un caso se le accuse della Sgrena a Quattrocchi, cioè a un cittadino italiano che lavorava in Irak proprio come lei, siano arrivate durante la presentazione del libro «Fuoco amico», scritto dalla stessa giornalista appena rientrata in Italia e diventata una celebrità proprio grazie al suo rapimento e alla sua liberazione durante la quale ha perso la vita un altro italiano che era in Irak per fare il proprio dovere di lavoratore. E al quale infatti Ciampi ha riconosciuto la stessa medaglia d’oro alla memoria.
Neppure il gesto del presidente della Repubblica, che ha messo a tacere le malelingue riconoscendo l’eroismo e l’amor patrio di chi ha sfidato i suoi carnefici gridando: «Vi faccio vedere come muore un italiano», smorza le polemiche. Proprio quelle che la sorella della guardia del corpo genovese uccisa dai terroristi non riesce a capire: «Non so dove si voglia arrivare con queste continue accuse - prova a chiudere il discorso -. E soprattutto non capisco a cosa servano certe affermazioni. Per questo vorrei evitare questo dibattito».
Anche quando il Quirinale aveva concesso la medaglia d’oro al valor civile a Fabrizio Quattrocchi la famiglia del bodyguard ucciso aveva cercato di sottolineare soprattutto i motivi di soddisfazione evitando le polemiche. Nei confronti del Comune di Genova, che aveva rifiutato l’intitolazione di una via al fratello, Graziella Quattrocchi non aveva voluto riservare attacchi. Anzi, aveva persino lasciato aperta la porta a un gesto di riconciliazione.

Sempre da Genova invece vuole rispondere alle dichiarazioni della giornalista del manifesto anche Alfredo Biondi, vicepresidente della Camera: «Dalla “compagna” Sgrena non mi aspetto nulla. Ma dalla giornalista Sgrena mi aspetto maggiore rispetto: ogni morte, che sia quella di Calipari per salvare lei o quella di Quattrocchi, merita maggiore rispetto».

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