Dopo Greganti c’è il fantasma del compagno C

Si legge che il presidente Consorte dell’Unipol sotto inchiesta della magistratura potrebbe essere il novello Greganti. Tutti sanno chi è Greganti, l’eroe di Botteghe Oscure, ma siccome i fatti risalgono a molti anni fa non ricordo come riuscì a farla franca e a salvare dalla tenaglia di Mani Pulite il suo partito. Quella fu una questione di tangenti, ma nella vicenda delle Coop mi pare che di tangenti non se ne sia ancora parlato. Perché allora si mette in relazione Greganti con Consorte?
Antonio Rubei e-mail

Primo Greganti, il compagno G, è il simbolo della devota abnegazione del militante al partito e ai suoi interessi. Se dunque Giovanni Consorte dovesse imitarlo - e i diessini se lo augurano - tenendo fuori il Botteghino di Via Nazionale dalla sarabanda finanziaria che sta scuotendo da cima a fondo le Coop, si meriterebbe l’appellativo di Compagno C. Entrando di diritto nel Pantheon dei martiri della causa, quelli che «i parlan no», nemmeno di quella barcata di euri ballerini che al momento nessuno può affermare costituissero un fondo nero ma sulla quale la Magistratura indaga. Come la sfangò Greganti evitando al suo partito di finire risucchiato da Mani Pulite? Con molta, molta fortuna, se così vogliamo chiamarla. Forse è una leggenda metropolitana o forse no, ma quando nel marzo del ’93 il Compagno G venne accidentalmente fermato dalla polizia, pare che giustificasse il possesso di un miliardo di lire in biglietti fruscianti sostenendo che rappresentava l’incasso della vendita delle salamelle al Festival dell’Unità. La versione definitiva afferma invece che quel danaro era un anticipo versato dall’imprenditore Marcellino Gavio per l’acquisto (mai conclusosi) d’un edificio di proprietà Pci-Pds. Versione accettata dal Tribunale e quindi amen. Poi c’è la storia del conto «Gabbietta» intestato a Greganti e sul quale confluì una tangente di 650 milioni versata da Lorenzo Panzavolta, manager della Ferruzzi. Quando il magistrato Tiziana Parenti lo accusò di avere girato al Pds quella stecca, Greganti replicò tutto offeso che non era vero niente e che quei soldi li aveva utilizzati per acquistare un appartamento. E l’atto d’acquisto? Eh, l’atto d’acquisto non c’era verso di farlo saltar fuori, faccenda assai imbarazzante vuoi per il Compagno G, vuoi per Botteghe Oscure.
E qui viene il bello. In zona Cesarini il solerte Gerardo D’Ambrosio poté infatti agitare sotto il naso della Parenti la fotocopia del preliminare di vendita di una casa a Greganti con tanto di anticipo equivalente, ma guarda tu quando si dice il caso, al bonifico effettuato da Panzavolta sul conto «Gabbietta». Fotocopia inaspettatamente rinvenuta, oh stupore, oh meraviglia, in un cassetto nella sede torinese del Monte dei Paschi, già precedentemente e inutilmente passata al setaccio dalla Parenti. Essendo bastata quella fotocopia (l’originale non venne mai fuori) per ritenere che i soldi della tangente li aveva spesi Greganti, il Pci uscì dalla vicenda mondo d’ogni peccato, candido come il saio di un domenicano. Lei forse non sa, caro Rubei, che di fronte alla Legge io uso cavarmi il cappello e mettermi sull’attenti. Se il Tribunale ha sentenziato che il grisbì del conto «Gabbietta» se lo intascò il Compagno G per pagarsi in contanti l’appartamento, così sia.

Resta però un quesito: come spiegarsi che Greganti era costretto ad onorare un mutuo molto elevato (al di sopra delle proprie possibilità, visto che il suo conto alla Monte dei Paschi era perennemente in rosso), per l’acquisto della abitazione che aveva già acquistato coi soldi della tangente? Bel mistero, eh?

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