Griffe contraffatte da Pechino: sgominata la banda del tarocco

Sei arrestati, al telefono si vantavano della merce: «Sono imitazioni perfette»

Giacche, scarpe, vestiti. A decine di migliaia. Capi d’abbigliamento così perfetti, da mettere in difficoltà anche l’occhio dei periti. Carichi in arrivo dalla Cina e destinati non alle bancarelle, ma a negozi e boutique. Pagati poco, e rivenduti a centinaia di euro. Monclair, Peuterey, Woolrich, Hogan, Armani. I marchi più prestigiosi per arricchire il mercato nero delle imitazioni. Così, ieri, i militari del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza hanno arrestato sei persone: quattro napoletani e due indiani, con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al commercio di prodotti contraffatti. Undici, invece, i denunciati.
Circa 90mila i capi sequestrati dalle Fiamme gialle tra il 2006 e il 2007 in Italia, Germania e Austria, per un valore complessivo di circa 2 milioni di euro, mentre capannoni e hangar sono stati perquisiti a Milano e nell’hinterland, a Napoli e Caserta. La merce contraffatta, prodotta prevalentemente in Cina - ma anche in India e Bangladesh - arrivava via nave nei porti del nord Europa dove veniva sdoganata dietro la presentazione di documenti falsi. Di lì, faceva tappa in altri Paesi dell’Ue, prima di entrare in Italia.
Un’indagine non semplice, quella dei finanzieri. L’organizzazione, infatti, era particolarmente attenta alle «comunicazioni». Un misto di modernità e tradizione. Primo, il gruppo utilizzava il sistema Voip (Voice over internet protocol, un sistema di chiamata che sfrutta il web e che rende difficile le intercettazioni) per concordare i propri affari. Secondo, il linguaggio era costantemente criptato, e codificato attraverso «pizzini» che i sei si scambiavano personalmente, e le cui «chiavi» venivano modificate ogni settimana. Numeri e lettere che indicavano le località dei centri di stoccaggio, e fissavano il giorno per le consegne.
Una gallina dalle uova d’oro. O, come scrive il giudice per le indagini preliminari Luisa Savoia nell’ordinanza di custodia cautelare, un commercio che produceva «un elevatissimo volume d’affari». Perché la merce sequestrata avrebbe fruttato all’organizzazione qualcosa come 2 milioni di euro, considerati «i rilevanti quantitativi di merci - continua il gip - che per la loro natura apparente, corrispondenti a modelli noti e che in molti casi imitano con un livello molto alto dal punto di vista qualitativo, sono oggetto di rilevanti richieste dal punto di vista commerciale».
E che non fossero grossolane imitazioni, lo sapevano anche i sei arrestati. Quasi da andarne fieri. In una telefonata intercettata dagli investigatori, uno dei due indiani spiega che «i duplicati di Prada e Gucci hanno una qualità super, perfetta», addirittura «proprio come quella originale». O ancora, «queste Hogan - dice uno dei napoletani - so’ troppo belle, tutte di pelle, con la gomma morbida». Quelle stesse scarpe, che venivano pagate poche decine di euro, arrivavano sul mercato con tanto di etichetta del prezzo: ma di euro per comprarle, questa volta, ne servivano 300.

Roba da boutique. Però, insistono al telefono, sono «falsi d’autore». «Io le ho ai piedi. E tu le hai messe?», è la domanda ascoltata dagli investigatori. «Sì - risponde l’altro - io con queste cammino che è un capolavoro».

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