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Grillo e Di Pietro contro le querele. Degli altri

I due dicono di essere favorevoli alla libertà d’espressione. Ma guai a parlar male di loro. Il comico ha inventato un «lodo» per sostenere i blogger amici ma denuncia tutti per diffamazione. L’ex pm? Ha fatto quasi 400 cause

Grillo e Di Pietro contro le querele. Degli altri

Grillo santo patrono dei blogger e dei diseredati della buona informazione, quella che si nasconde nelle sacche della resistenza democratica, posti come il blog di Grillo per intenderci, focolai di nuovi diritti umani. Peccato ci sia il rischio querela quando il post contiene una castroneria, cose che capitano a chi scrive. Ma siccome i blogger e il loro santo patrono non sono scrivani qualsiasi ma difensori della verità, qui ci vuole una difesa, un escamotage per renderli invulnerabili davanti alla legge. Ecco, un «Lodo Grillo» per difendere le alte cariche del grillismo dal rischio diffamazione. Beppe se l’è inventato l’altro giorno, mentre rifletteva sulle basi della democrazia accomodato sul bagnasciuga. L’ha chiamato «Scudo della Rete», in pratica un’équipe di avvocati pronti a difendere i blogger dalle querele per diffamazione, reato che nel frattempo - secondo Grillo - andrebbe depenalizzato perché contrario ai principi di libertà. Sì, ma solo della sua.
Il comico che ora schifa il concetto di querela perché «è intimidazione», ha provato spesso a intimidire gli altri con le querele. In questo, e in molto altro ancora, va a braccetto con Antonio Di Pietro, insuperabile recordman di querele fatte, pare più di 300 nel giro di pochi anni (357 per l’esattezza, scrisse Repubblica). È lui il Billy the kid dell’atto di citazione, appena lo tocchi spara. Se Di Pietro tuona contro chi si ripara dietro l’immunità, ma quando viene querelato chiede subito l’immunità, il sodale Grillo accusa l’istituto della querela di autoritarismo ma poi querela, eccome se querela. C’è un’affinità elettiva tra i due, negli appelli barricaderi come nelle loro matematiche contraddizioni. Per dire, è divertente rileggersi quel commento di Grillo sul suo blog, agosto di due anni fa, dopo un editoriale del Corriere della Sera firmato da Pietro Ichino, contentente - secondo il comico - «falsificazioni pericolose» (tipico gergo da querelatore). Il giurista si era permesso di obiettare che il sito di Grillo contribuiva alla campagna d’odio verso la legge Biagi e il suo inventore (ucciso dalle Br). Guai a lui. Grillo ha risposto sdegnato con un post che si concludeva con questa intimidazione: «Ho dato mandato ai miei legali perché provvedano alla mia tutela nelle competenti sedi giudiziarie nei confronti del Corriere della Sera». Chi mi tocca lo querelo. Ma non era uno strumento autoritario? Mah, dipende. Da chi le fa.
Poi Grillo ha querelato ancora. La Telecom per il dossier su di lui, «i vermi che hanno spiato me e gli italiani negli ultimi anni»: querelati. Grillo ha una schiera di avvocati attorno a sé, evidentemente, per consigliarlo nelle miriadi di cause che lo coinvolgono. E lui si appoggia ai legali appena deve colpire qualcuno. Chiedete a quelli della lista «No Euro», contro cui Grillo ha scatenato i suoi avvocati per difendere il brand «Grillo», impropriamente usato dalla lista civica e immediatamente difeso dai legali del comico.
Un comico con studio legale annesso. Mai però ai livelli di Antonio Di Pietro, il leader Idv che è stato magistrato e avvocato e quindi è di casa nelle aule di tribunale (anche se poi ci manda il suo fidato Sergio Scicchitano, legale, consigliere Anas, esponente politico naturalmente dell’Idv). Di Pietro usa querelare avversari politici, giornali, civili, tutti. Anche per «offese» molto discutibili. Si può obiettare che la copertina del settimanale sportivo torinese del gennaio 1997, il defunto Piemonte sportivo (una grande foto dell’ex pm sormontato dalla dicitura «Arbitro cornuto») non fosse proprio un modello di umorismo british, ma Di Pietro non ci rise su, affatto, chiamò subito il suo avvocato per sporgere querela. Le redazioni raggiunte dalle lettere dei legali di Tonino sono una schiera, veramente bipartisan: nel 1997 querelò l’Unità diretta da Peppino Caldarola, un mese dopo toccò ai giornalisti del Tg4, poi a il Giornale (un’abitudine), poi a Panorama, ma poi pure a Repubblica. Incredibilmente non portò in tribunale Novella 2000, per una copertina che giudicò solo «una goliardata». Ma ci mancò poco perché, spiegò nella lettera al giornale di gossip, «ho fatto centinaia di querele in questi anni, ma per un obiettivo serio: difendere la mia reputazione e il mio onore». Come Grillo.

Libertà di espressione, ma guai a chi li tocca.

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