Al Grinzane trionfano i sufi di Yasmine Ghata

L’esordiente franco-turca stupisce con «La Notte dei calligrafi» Questa sera la premiazione per la narrativa italiana e straniera

Si tiene oggi, sabato 23 giugno 2007 (ore 16.30) al Castello di Grinzane Cavour (Cuneo), la premiazione dei vincitori della XXVI edizione del Premio Grinzane-Cavour. I finalisti designati dalla Giuria dei Critici sono, rispettivamente, per la narrativa italiana Gianni Clerici (Zoo, Rizzoli), Marcello Fois (Memoria del vuoto, Einaudi), Rosa Matteucci (Cuore di mamma, Adelphi); per la narrativa straniera: l'egiziano 'Ala Al-Aswani (Palazzo Yacoubian, Feltrinelli), il francese Philippe Forest (Per tutta la notte, Alet) e lo svizzero Pascal Mercier (Treno di notte per Lisbona, Mondadori). La scelta del supervincitore spetta ora alla giuria internazionale di studenti.
Fra gli altri riconoscimenti il Premio Internazionale «Una vita per la letteratura», assegnato allo scrittore Amitav Ghosh, uno dei più conosciuti autori indiani in lingua inglese, il Premio «Dialogo tra i continenti» al filosofo e critico letterario Tzvetan Todorov, il Premio Saggistica d'Autore all'argentino Alberto Manguel per il volume Diario di un lettore (Archinto) e per la sua produzione dedicata alla lettura, tra cui Una storia della lettura e Con Borges. Infine il Premio Autore Esordiente che è andato alla scrittrice franco-turca Yasmine Ghata per il libro La notte dei calligrafi (Feltrinelli), su cui ci soffermiamo.
Un riconoscimento, questo a Yasmine Ghata, che non è solo un plauso alla scrittura (anche se, lo sappiamo, lo stile è tutto), ma che è un segnale di attenzione verso aspetti della civiltà Islamica passati in secondo piano in questi tempi di fanatismo e di terrorismo. Non si tratta qui di enfatizzare l'«altro» prima di aver imparato ad apprezzare il «proprio», ovviamente, ma di conoscere l'altro, presupposto al rispetto reciproco. Anche in letteratura. Ora, si sa, il Corano proibisce la rappresentazione realistica di esseri animati. Ecco perché l'Islam ha sviluppato, più della pittura e della scultura, l'architettura e l'arte calligrafica. Arte sacra per eccellenza, la calligrafia è la traduzione in opera d'arte scrittoria dell'ispirazione divina.
Sviluppata soprattutto nell'ambito del Sufismo, dove il calligrafo, oltre agli insegnamenti tecnici, segue anche una disciplina interiore sotto la guida di un maestro Sufi, è il tema forte di questo romanzo della trentaduenne Yasmine Ghata.
Protagonista del libro, uscito in Francia nel 2004, è la nonna paterna dell'autrice: Rikkat Kunt, artista vissuta nel '900, dopo aver abbandonato Istanbul ed essere stata data in sposa a un dentista, emblema quest'ultimo della più fredda razionalità, ebbe la forza di divorziare e di tornare nella capitale turca con il figlio. Qui ottiene l'incarico di insegnante all'Accademia di Belle Arti e comincerà un percorso di iniziazione e ascesi, quello dell'arte calligrafica, fatto di delicati giochi gestuali («I calligrafi - si legge nel libro - non soffiano mai sull'inchiostro; accelerare l'asciugatura significa espellere la presenza divina. Allora sfioravo il foglio con il polpastrello dell'indice, una goccia di carne sull'inchiostro bagnato che rimpiccioliva a vista d'occhio») e sottili rimandi spirituali. Quel che stupisce il lettore che non ha familiarità con la cultura islamica più alta è questo misto, apparentemente paradossale, di forte senso del sacro, tipico della mistica islamica, e di coraggio femminile («Mia nonna - ci confida Yasmine - fu l'ultimo grande calligrafo e dal XVI al XX sec. questa fu un attività prettamente maschile. Ho trovato davvero curioso che fosse proprio una donna a chiudere questa lunga dinastia»).
In verità una cosa è la mistica Sufi, cui si rifà la calligrafia, un'altra è la religione: «Sono consapevole - conferma Yasmine Ghata - che l'Islam è una religione la cui comprensione è lontana, molto lontana dai giorni nostri. Per me la calligrafia è il respiro di Dio e l'arabesco, decoro bellissimo e misterioso, è la nostra vita.

A volte un arabesco è bellissimo, naturale, aperto: questo l'Islam giusto; a volte l'arabesco è chiuso, scuro, artificioso, questo non è il mio Islam».
Un Islam arabescato, sembra volerci dire Yasmine Ghata, sarà un Islam democratico, devoto al sacro e al bello.
lorenzo.scandroglio@tin.it

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