«Guardiamo avanti ma senza perdere il nostro de Gaulle»

«Guardiamo avanti ma senza perdere il nostro de Gaulle»

RomaMaurizio Gasparri, presidente dei senatori del Pdl, nel suo ultimo libro «Il viaggio del Popolo della libertà» vi è un elemento di profonda novità: la rivalutazione storica dell’«operazione Sturzo», il primo tentativo di comporre una lista di centrodestra alle amministrative romane del 1952.
«Un tentativo prematuro. Mi è tornato in mente perché Il Secolo parlò male di Sturzo, mentre Tatarella partecipò a un convegno sottolineando che rappresentava l’opposizione alla sinistra. È l’anticipazione del ’93: la lista unica non si fece perché Buttiglione non si candidò e Fini fu costretto a scendere in campo iniziando un nuovo percorso».
Nel suo libro vi è un vasto elenco di «ancoraggi» ideologici. Tra questi Gramsci e Almirante messi fra parentesi prima del congresso fondativo.
«Il Pdl è un partito di unità e coscienza nazionale. La figura di Gramsci, espunto il marxismo deteriore, va ricordata perché parte di una memoria comune su dinamiche sociali e processi di aggregazione. È questa la nostra differenza con la sinistra che strappa le pagine della sua storia. Almirante non era citato perché la mozione congressuale si è concentrata sulla cultura italiana da Dante a Sergio Leone. È il bagaglio delle esperienze, necessario per non fare del Pdl un partito-cartello, ma un partito con un’ariosa identità».
Alcune pagine devono essere ancora scritte. Ma il Pdl che partito sarà: leggero o pesante?
«Credo sia stata positiva l’intuizione di Giuliano Ferrara sul Foglio: il partito deve conservare il meglio delle esperienze dei circoli sul territorio, che è stata di An, e anche l’esperienza movimentista dei gazebo nei quali le firme raccolte si tradussero in voti. Adesso, la vittoria delle amministrative ci consente di selezionare classi dirigenti».
Intellettuali di destra come Angelo Mellone sul «Giornale» e Alessandro Campi sul «Riformista» ieri hanno lanciato due provocazioni: istituzionalizzare il carisma, da una parte, ed evitare di appiattirsi sull’agenda della Lega dall’altra.
«Faccio gli scongiuri: la storia politica è piena di intellettuali che hanno detto sciocchezze e di intellettuali disoccupati perché i loro giornali non li ha letti nessuno. Se avessimo ascoltato gli intellettuali, non avremmo fatto né An né il Pdl. Invece noi abbiamo consolidato un’esperienza politica: possiamo parlare di “berlusconismo oltre Berlusconi” con la fortuna che abbiamo ancora il nostro de Gaulle».
In che senso?
«È semplice: dopo de Gaulle la sua eredità non si è dispersa: ci sono stati Pompidou, Giscard d’Estaing, Chirac e Sarkozy. Lo stesso vale per Nixon, Reagan, Bush senior e Bush junior. Vincendo e perdendo si costruisce un partito, una nuova classe dirigente. Mentre altri auspicano, noi facciamo».
Ma gli ex di An si sono appiattiti o no sui temi leghisti?
«Questa storia dell’agenda... Sulla mia c’è scritto: contrasto all’immigrazione clandestina e battersi per la sicurezza. È la Lega che ha copiato la mia agenda o sono gli intellettuali che hanno la Smemoranda che è di sinistra? Consiglierei loro di cambiarla: il discorso identitario non l’abbiamo tralasciato. La legge che ha istituito la giornata del ricordo delle vittime delle foibe l’abbiamo voluta noi. Noi parliamo di sicurezza e di famiglia. Forse gli intellettuali hanno un complesso di inferiorità nei confronti della sinistra, io no».
La questione del referendum ha lasciato qualche strascico?
«Da quando sono in politica ci sono state centinaia di referendum. Io nel 1974 volantinavo contro il divorzio. Però le leggi elettorali sono uno strumento, sono come le camicie, si cambiano da un giorno all’altro. Anche Brown vuole cambiare legge dopo gli ultimi rovesci. Da quando sono in politica sono cambiate le leggi elettorali, ma non il mio amore per la patria, per la democrazia, per il presidenzialismo».
Pinuccio Tatarella era attento a tutto ciò che si muoveva nell’universo Dc, ma l’ipotesi di un «conclave» di maggioranza non è forse troppo democristiana?
«Io sono reduce da un confronto, è un fatto quotidiano.

È normale, una volta si chiamava comitato centrale, si può utilizzare una metafora religiosa come “conclave”, ma è normale fare il punto dopo un anno di governo. Oggi forse si cercano i titoli, ma il viaggio di questo popolo è lungo e per me è cominciato 36 anni fa. E non possiamo che esserne soddisfatti».

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