Roma

Come guarire in tre mesi dell’epatite C: la speranza da una ricerca tutta italiana

Arrivano al 3 per cento i malati nel Lazio, in media col resto d’Italia

Tre mesi. È questo il tempo necessario per guarire dall’epatite C. Grazie a una ricerca condotta da 12 centri italiani nei confronti di pazienti del genotipo 2 e 3 il virus può essere debellato in tempi ridotti della metà rispetto alla cura tradizionale. Una buona notizia per i malati del Lazio, che sono tanti: 3 ogni cento abitanti, ma in alcune zone si supera l’8 per cento. Solo la metà, però, sa di essere portatore. Un’epidemia silenziosa. Sottostimata anche in regione. «Dalla mia esperienza quotidiana al “Pertini” il dato sembra sfiorare il cinque per cento», spiega Mario Romano, uno dei medici romani che ha condotto la ricerca pubblicata dalla prestigiosa rivista The New England Journal of medicine. «Per avere dati più precisi sulla popolazione affetta dalla malattia si sta studiando un test da applicare nel Lazio», dichiara Giovanni Luciano Ricci, Associato al dipartimento di Scienze cliniche dell’università La Sapienza. Si sa comunque che i più colpiti sono gli anziani, anche perché fra gli anni ’50 e ’80 era ancora diffusa l’abitudine di non usare siringhe usa e getta. Oggi che questa «malsana» abitudine non c’è più, sotto accusa sono piercing e tatuaggi effettuati in centri non autorizzati, sulla spiaggia o da professionisti improvvisati. Entrando nel merito, lo studio apre nuovi orizzonti nella terapia. Si accorciano notevolmente i tempi della cura, attraverso l’utilizzo combinato di due farmaci, l’interferone peghilato alfa 2-b e la rivabirina, evitando così al paziente effetti collaterali prolungati. Le attuali terapie possono dare anemia, depressione, un grande senso di debolezza: queste conseguenze non scompaiono, ma sono notevolmente ridotte. Non solo. La migliore qualità di vita, infatti, permette al paziente di tornare nella società senza problemi e di prendere meno farmaci. Minori di conseguenza anche le assenze sul lavoro.

I farmaci, già disponibili, sono a carico del servizio sanitario.

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