Gubbio, il giallo del monastero Ecco i documenti segreti del Vaticano

Per San Francesco il denaro rappresentava «lo sterco del diavolo». E così la pensava Santa Chiara, fondatrice dell’ordine delle suore clarisse, che del frate di Assisi era devota oltreché stretta collaboratrice. Sarà per questo che suona doppiamente imbarazzante la lotta intestina al convento delle clarisse di clausura di Gubbio culminata con la denuncia di tre novizie - immediatamente allontanate dal convento eugubino - che hanno denunciato vessazioni, molestie, aggressioni, accuse di omossessualità e il furto di 85 gioielli (ereditati da una delle tre sorelle e consegnati alla badessa) per un valore stimato di un milione e centomila euro. Dopo aver dato notizia dell’inchiesta aperta dalla Procura di Perugia (pubblicata sul Giornale il 29 luglio) oggi rendiamo nota una prima parte dei carteggi di cardinali, frati, suore, avvocati, contenuti nel fascicolo d’indagine. Si va dalla badessa di Gubbio che per evitare lo scandalo si rivolge al Santo Padre fino al cardinale Francesco Rodè, prefetto della Civcsva (Congregazione per gli istituti della vita consacrata e le società di vita apostolica) che attacca duramente le suore ribelli «sul furto che in realtà non vi è mai stato perché nessuna sorella, interrogata, ha detto di aver mai visto i gioielli in convento».

A smentire il cardinale, però, c’è un documento autografo della badessa che dà per ricevuti ben 85 pezzi in oro, diamanti, smeraldi e rubini. Un giallo nel giallo, dove i cappuccini (a cui le tre suore hanno chiesto aiuto) si schierano a difesa delle monache contro le decisioni delle gerarchie vaticane.

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