Piera Anna Franini
da Milano
NellAida in scena al Teatro alla Scala dal 7 dicembre, spetta a Carlo Guelfi indossare i panni del padre (di Aida) e re dEtiopia. È Amonasro, luomo capace di impeto selvaggio, sul punto di ripudiare la figlia poiché decisa a non collaborare alla liberazione degli Etiopi. Sprezza gli Egizi bollandoli come «razza infame», ma per il suo popolo si spinge a implorare clemenza presso il faraone, pur guardandosi bene dal far trapelare la propria identità. Amonasro è più padre o più re? Lo abbiamo chiesto a Guelfi, baritono verdiano di grande intelligenza interpretativa atteso di nuovo alla Scala in aprile per Adriana Lecouvreur e, ci anticipa, per Don Carlos, il titolo inaugurale del 2008. «Nel modo più assoluto è più re - rimarca Guelfi. Amonasro vive la condizione del prigioniero che non pensa ad altro che al riscatto del suo popolo».
Cosa ama di questo personaggio?
«Il carisma, la forza e la fortunata collocazione dei suoi interventi: limitati rispetto a quelli degli altri, ma strategici. Quando compare in palcoscenico diventa il fulcro dellazione, un magnete, il cappello di una struttura magnifica».
Cosa, invece, non la convince?
«Nulla del personaggio, semmai un lato assurdo della vicenda, nel parlarne abbiamo riso un po tutti. Provate a immaginare un Egitto lussureggiante, dagli spazi sconfinati e Aida che dà appuntamento a Radamès là dove arriverà Amonasro e alla fine Amneris».
Su che cosa ha lavorato con il direttore dorchestra?
«Chailly esige un grande rigore, il testo viene rispettato nei minimi dettagli».
Cosa la inquieta del mondo del melodramma?
«Chi si occupa di arte tende a vivere a tinte forti laspetto interiore, quindi il rischio è quello di perdere di vista il senso della realtà. Questo, anche se ciò che distingue il grande artista è la tremenda semplicità».
Quindi bando al divismo?
«Credo che se sei vero allora sei forte, e quindi riesci a ingoiare anche i rospi. Che non mancano mai».