«Mai come questo governo», ripetevano Roberto Maroni, e anche Silvio Berlusconi. Mai la mafia era stata attaccata con un contrasto così ostinato, su tutti i fronti: arresti, modifiche al codice penale, inasprimento del carcere duro 41 bis, confisca di terreni, aziende, case, mezzi. Ma non bastava. Niente, numeri, provvedimenti, catture che in America avrebbero ispirato gli scrittori più appassionati di hard boiled, riusciva a spazzare via nei tre anni appena passati, l’ombra sempre gettata addosso: governo che vince è governo mafioso. Gli annunci, ripetuti, finivano spesso nel tritacarne della propaganda contro.
Ora che l’esecutivo è cambiato, di quel lavoro enorme da parte del ministero dell’Interno e della Giustizia, delle forze di polizia e delle direzioni distrettuali antimafia rimangono le cifre, impressionanti: dall’8 maggio 2008, giorno di entrata in carica del governo Berlusconi al 30 settembre 2011, data dell’ultimo rilevamento, sono stati arrestati 9.237 mafiosi. Una media di otto al giorno. Uno ogni tre ore, per chi ama le statistiche al dettaglio. Più 35% l’aumento dell’ultimo anno. E tutti gli indicatori, quando si parla di mafia, nell’ultimo triennio hanno registrato il segno positivo. Latitanti di massima pericolosità catturati: 32, +88%. Latitanti totali tratti in arresto: 489, + 14%. Un irreperibile scovato ogni tre giorni. Ottocentotrentanove operazioni di polizia giudiziaria svolte.
Uno degli ultimi blitz, il 25 ottobre, ha portato alla cattura del boss Giovanni Arena, 56 anni, esponente di spicco di Cosa Nostra ed inserito nell'elenco dei 30 superlatitanti più pericolosi d’Italia. Si nascondeva a Librino (Catania) e la sua tana era una sorta di «bara», ricavata nell’intercapedine di un letto a ponte. «Questa volta siete stati bravi. Da vent’anni sono in questa casa...», avrebbe detto beffardo Arena ai poliziotti della squadra mobile etnea che lo hanno scoperto.
Frutto di un interminabile lavoro di intercettazioni e pedinamenti anche l’arresto, questa volta del camorrista Antonio Iovine, boss dei casalesi, detto «Ninno bello», avvenuta il 17 novembre del 2010 a Casal di Principe (Caserta) dopo 14 anni e 11 mesi di latitanza.
E nell’elenco dei grandi colpi assestati alla mafia c’è anche la cattura spettacolare, avvenuta il 15 novembre del 2009 a Calatafimi Segesta (Trapani) del «veterinario», «il numero due di Cosa Nostra» come lo definì Maroni, Domenico Raccuglia, sul quale pendevano tre ergastoli tra i quali quello per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido. Raccuglia tentò di scappare dal terrazzo dell’abitazione-covo dove si trovava nascosto al termine di una latitanza di 13 anni, ma l’edificio era circondato dai poliziotti, e quel maldestro tentativo di fuga finì con le manette.
Contrastare la mafia però significa anche prosciugarne le finanze. Oltre alla decapitazione dei vertici, il grande balzo in avanti che i numeri mostrano nel triennio è stato ottenuto sul fronte delle confische e dei sequestri. Il valore complessivo del patrimonio sottratto alla criminalità organizzata ha raggiunto i 25 miliardi di euro, con un aumento del 647% rispetto al periodo precedente. Un lavoro che si è quindi più che sestuplicato con il governo Berlusconi, e che ha portato al sequestro o alla confisca complessivamente di 54.127 beni. In particolare sono stati acquisiti beni per 9,7 miliardi di euro in Sicilia (Cosa Nostra), per 7,1 miliardi in Campania (Camorra), per 2,8 miliardi in Calabria (’Ndrangheta), per 700mila euro in Puglia (Sacra Corona Unita). La suddivisione è calcolata per regione, e dalla nuova mappa dell’oro di mafia si conferma l’espansione sempre più intensa al Centro e al Nord: 2,8 miliardi il valore dei beni mafiosi sequestrati nel Lazio, 1,1 miliardi in Lombardia. Quasi un miliardo e 800 milioni di euro (1.742) sono già confluiti nel Fondo unico di giustizia, istituito dal governo Berlusconi nel 2008. Anche l’agenzia per i beni sequestrati alla mafia è una novità del precedente esecutivo: ha sede a Reggio Calabria ed è operativa dal 16 aprile del 2010, seguita poi dalla sede di Roma il 14 luglio.
L’eredità di norme nuove è poi un altro patrimonio lasciato all’Italia che vuole sconfiggere il cancro dell’«anti-Stato». Con i ripetuti pacchetti sicurezza, spesso più chiacchierati per marginali norme che causavano diverbi politici, come l’istituzione delle contrastate ronde, è stata chiusa saldamente la tenaglia dei dispositivi antimafia. Il regime carcerario 41 bis è stato inasprito dal ddl sicurezza 733/2009: è stata aumentata a quattro anni la durata dei provvedimenti restrittivi. I colloqui tra i detenuti e le loro famiglie devono sempre essere ascoltati e registrati, con la riduzione del numero di ore d’aria, due, consentite solo in presenza di un massimo di quattro persone. Si è stabilito poi di punire con la reclusione fino a quattro anni chiunque consenta ad un accusato di mafia di comunicare con altri, con l’aggravante per pubblici ufficiali e avvocati.
I mafiosi condannati non possono più avvalersi del gratuito patrocinio. Il reato di associazione mafiosa è stato esteso anche a organizzazioni criminali straniere.
Per contrastare racket e estorsioni un’ulteriore norma istituita dal governo Berlusconi (sempre nel pacchetto sicurezza del 2009) prevede che gli imprenditori che non denunciano le estorsioni non potranno più partecipare a gare d’appalto. Sono stati assegnati più poteri al Procuratore Antimafia. È stato aumentato di 30 milioni di euro il fondo per le vittime dei mafiosi.
Sono state istituite stazioni uniche appaltanti in ogni regione per contrastare i tentativi di infiltrazione. Dall’ottobre del 2008 quattrocento militari hanno affiancato le forze dell’ordine nella provincia di Caserta contro la camorra, con un calo dei delitti del 16% a Caserta e del 17,4% a Napoli nel biennio 2009-2010.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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