La guerra dei Doria per gli eredi in provetta

Il principe Jonathan, l’unico maschio, è padre ma grazie agli uteri in affitto. La sorella lo denuncia: quei bimbi non possono ereditare

La guerra dei Doria 
per gli eredi in provetta

Dev’essere un virus particolare, che aggredisce le casate con molti quarti di nobiltà e molti conti bancari: prima o poi, le riunioni di famiglia non si tengono più nella sala bella del palazzo avito, davanti al camino acceso, ma direttamente a palazzo di giustizia. Tocca anche ai Doria. Per molti di noi che si sono costruiti una cultura casereccia nel boom economico, questo nome evoca subito le tenerezze di un indimenticato biscottificio. In realtà, si parla di un blasone importantissimo, che grazie al patriarca Andrea, ammiraglio nativo di Oneglia, ricostruì a cavallo tra il 1400 e il 1500 il mito della fiorentissima Superba, tanto che oggi Cassano è sicuramente fiero di portare una maglia in qualche modo intitolata al glorioso personaggio (o forse no, ma in questa sede non è poi così decisivo).
Ovviamente non proverò nemmeno ad ammorbare la platea con una sintetica ricostruzione dell’intero albero genealogico. Basterà stringere di zoom sui tempi nostri, scoprendo che le antiche nobiltà sopravvivono oggi nelle giovani persone di Jonathan Doria Pamphilj e di sua sorella Gesine. Dopo lunghi e tortuosi giri nella storia d’Europa, le intricate faccende familiari si concentrano tutte in questo legame di sangue blu, forse l’ultimo che potremmo definire tranquillo e regolare. Da qui in poi, la saga dei Doria è un rompicapo allucinante. Con tutto il rispetto, ci mancherebbe: ma comunque un rompicapo allucinante.
Partendo dalla fine: la sorella Gesine trascina il fratello davanti alla Procura di Roma, città dove i due vivono per lunghi periodi nel famoso palazzo di via del Corso, chiedendo che la giustizia italiana non riconosca i due figli maschi del fratello medesimo. Come spiega il Secolo XIX di Genova, un pronunciamento è atteso per il 21 ottobre, dopo due anni di complesso contenzioso legale.
La domanda è scontata: perché mai la sorella non vuole che i figli del fratello siano riconosciuti eredi? Per capirlo bisogna affrontare un immane sforzo di cervello: siamo nell’epicentro dell’ingarbugliata matassa. In sostanza, i due bambini in questione non sono figli del principe Jonathan e di sua moglie. Jonathan non ha una moglie. Ha un moglio. O comunque un compagno, essendo egli orgogliosamente gay, come da acclamata sfilata al Gay Pride di Genova. Il quarantaseienne rampollo maschio della dinastia è unito in «civil partership» con un signore brasiliano di nome Elson Edeno Braga. Per legarsi, tempo fa, la coppia si reca a Londra, dove l’operazione è possibile. Ma ovviamente non si ferma lì. Comunque desideroso di lasciare qualcosa a qualcuno, soprattutto che il suo cognome gli sopravviva, Jonathan decide di mettere in piedi l’impalcatura familiare ora al centro della causa legale: in altre parole, ricorre alla fecondazione artificiale.
Sempre più difficile, sempre più complicato: nonostante ci siano di mezzo principi e principesse, non si beve come una fiaba. Per apprezzare, per capire, per tenere il filo, bisogna essere un po’ giuristi e un po’ tecnici di laboratorio. Allora: Jonathan cerca un utero in affitto. In Italia l’operazione è vietata, prevista pure la galera.
Ma il nobile Doria ha passaporto inglese, essendo figlio Doria di parte materna, mentre la paternità è di un suddito della Regina, Frank Pogson, per niente nobile, tanto che difatti sparisce dal cognome dei figli. Tornando a noi: grazie al passaporto inglese, Jonathan ricorre a specialisti esteri. La prima volta negli Stati Uniti, dove nel 2007 nasce la piccola Emily. Anche qui, niente è così semplice: in realtà, la bimba ha pure due mamme, una che ha donato l’ovulo e una che l’ha allevata in grembo. E non finisce qui: Emily è una creatura adorabile, ma resta pur sempre femmina. Al principe preme l’eterna necessità di un maschio. Così, altro viaggio, stavolta in Ucraina. Qui è possibile lavorarci più a fondo, prenotando anche il sesso a colpo sicuro. Difatti, nel 2008, ecco Filippo Andrea. Neanche a dirlo, pure lui con due mamme: la mamma dell’ovulo, la mamma del grembo. In totale, fa esattamente il rompicapo domestico di cui parlavo. Il rompicapo allucinante che ora sta sul tavolo della giustizia italiana.
La zia dei bambini, principessa Gesine, chiede che una simile situazione non venga ratificata dalla nostra legge. Passi il fratello gay che si unisce a Londra con il suo amore, affari e affetti suoi, ma non può passare che i figli «creati» dall’architettura genetica siano eredi a pieno titolo. Negli ambienti della nobiltà italiana, c’è anche chi sospetta un intervento troppo interessato di Gesine: lei, sposata all’esperto d’arte Massimiliano Floridi, ha quattro figlie femmine e quattro buoni motivi per non accettare con entusiasmo una spartizione «artificiale». Ma sono gli amici più intimi della stessa Gesine a rigettare con sdegno una spiegazione tanto piccina: ricordano, gli amici veri, che Gesine nutre comunque affetto nei confronti dei nipotini. Soltanto, anche a difesa della loro dignità, vuole che una volta per tutte sia fatta chiarezza. Metti caso che un giorno le quattro madri sparse per il mondo risaltino fuori per rivendicare qualche diritto: la legge deve mettere subito ordine nel groviglio allestito dal fratello. Qualunque sia la decisione della giustizia italiana, assicurano i fedelissimi, lei poi l’accetterà serenamente. L’essenziale è che il buon nome e il patrimonio della famiglia siano tutelati senza se e senza ma.
Scriveva Tolstoj, nella prima riga di Anna Karenina: tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. Nelle cronache del sangue blu, questa suprema verità si sta confermando puntualmente.

Nel caso Doria c’è qualcosa di più: non si sta litigando su conti nascosti e collezioni d’arte, ma sul futuro di due bambini entrati nella storia per vie traverse. Sarebbe il caso di sottolinearlo: loro non si giocano un’eredità, si giocano il destino.

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