Politica

La guerra di Las Vegas ai senzatetto: «Multe a chi gli dà acqua e cibo»

La teoria del sindaco: se nessuno li aiuta lasciano la città

Silvia Kramar

da New York

Molti anni fa, quando gli stormi di piccioni erano diventati un insolubile problema metropolitano, i primi cartelli erano apparsi nelle piazze americane: «Per favore non date da mangiare ai piccioni». Piazza San Marco era un esempio da non seguire e gli americani avevano imparato a tenersi le mani in tasca, evitando di sbriciolare per terra.
In alcuni paesini della Florida era stato vietato, inoltre, dar da mangiare agli alligatori, sempre pronti a scivolare nei giardini delle case costruite sui caldi canali tropicali. Nei parchi nazionali, i cartelli dei ranger avevano avvertito i campeggiatori di non lasciare gli avanzi dei pic nic, delle merendine e le lattine di Coca Cola per gli orsi, le puzzole, le volpi e gli eserciti di fameliche formiche rosse del Wyoming.
Ma mai prima d'ora, in nessuna città americana, si era osato imporre un legge che vietasse dar da mangiare ai senza tetto, agli homeless di un'America che li conta, li studia, li qualifica, a volte li aiuta, ma soprattutto cerca di dimenticarli.
Poi è arrivata Las Vegas, la città dei sogni, dei casinò e delle mille luci. Il suo sindaco, Oscar Goodman, nei giorni scorsi ha avvertito i suoi concittadini che, a partire dal 20 luglio, un'ordinanza cittadina vieta loro di offrire da mangiare o da bere ad un senza tetto. Se qualcuno, come sempre accade nelle città del fast food e dei mendicanti acquattati a molti angoli delle strade, allungherà una bottiglietta d'acqua, un mezzo hamburger o una banana ad un homeless, questo paladino verrà fermato dalla polizia e multato salatamente.
I cartelli che vietano di dar da mangiare agli homeless ovviamente non sono stati incollati agli angoli dei giardini pubblici di Las Vegas, dove solitamente i mendicanti vanno a cercare refrigerio o a chiedere l'elemosina, ma poco ci manca. Il tono con cui il consiglio comunale di Las Vegas ha annunciato l'arrivo della nuova ordinanza ha ben poco a che fare con quello con cui i Padri Fondatori avevano proclamato le libertà personali di un Paese fondato in nome della ricerca della libertà. Gli homeless sono senza dubbio un problema endemico di questa città costruita negli anni Cinquanta dalla mafia nel deserto e illuminata dalle luci dei casinò e delle slot machine. Vengono richiamati dal clima, dai turisti e forse anche dall'ultima speranza di giocarsi un dollaro e di ricominciare. A decine si ritrovano in alcuni parchi cittadini, come il Huntridge Circle Park o il Maryland Parkway, accanto all'elegante Charleston Boulevard. E c'è sempre chi li sfama, fermandosi con un camioncino di qualche opera caritatevole o regalando loro un panino, come fa Gail Sacco, convinta che spesso la polizia abbia gettato in prigione gli homeless solo per toglierli dalle strade e dare un senso di «città perfetta» ai giocatori delle roulette e dei tavoli di black jack. «Gli abitanti hanno ragione a protestare», si è giustificato il portavoce comunale, «i mendicanti sporcano e rovinano i nostri parchi. Il primo passo per dissuaderli è quello di vietare alla gente di sfamarli». «Non ho mai sentito parlare di una legge più inumana», ha protestato l'avvocato Allen Lichtenstein, portavoce dell'associazione per i diritti civili Aclu. «Così solo la gente che ha i soldi può mangiare? E io non posso invitare al mio pic nic una persona che sta morendo di fame senza prendere una multa?»
Ma il sindaco Goodman non si arrende: «Dal cibo si passa ai soldi, coi soldi si comprano alcol e droghe. La mia dev'essere una città pulita».


E difatti gli ingressi dei grand hotel e dei casinò sono magnifici e risplendenti come i palazzi reali di una volta, oasi di ricchezza e di tentazioni. Ma il cuore, il cuore di Las Vegas, dove trovarlo?

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