Il re Carlo di De Andrè tornava dalla guerra accompagnato dalle note di un soave clavicembalo. Il re Carlo disegnato da Antonio Ricci e dai ragazzacci di Striscia invece va alla guerra. Anche se come si addice ai signori della sinistra il Carlo De Benedetti in versione bellica è armato di costume, maglietta e asciugamano. Non c’è il secchiello, ma c’è, e come poteva mancare, Gad Lerner, pure in versione balneare, camicia bianca e probabili infradito. Siamo infatti in Sardegna, pardon, in Costa Smeralda che suona molto meglio per chi pretende di rappresentare la parte migliore del Paese, quella antropologicamente superiore, e quella che s’indigna contro lo strapotere di Berlusconi e anzi, fra un bagno e un asado, si lamenta perché i connazionali sono stremati e non arrivano alla fine del mese.
Carlo De Benedetti infatti possiede una splendida villa sul promontorio del Ramazzino, a due passi da Porto Rotondo e dai fasti di Villa Certosa. Anzi, quei prati pettinati, quei candidi gazebo, quelle scalette lucide che si tuffano nel mare cristallino sembrano un inquietante clone della Certosa, come documenta il «fantaromanzo sardo» presentato ieri, in una conferenza stampa fiume, dal vulcanico inventore del programma di Canale 5.
È una vita che De Benedetti e Berlusconi duellano, come in un celebre racconto di Conrad. Berlusconi è sceso in campo nel ’94, da allora i giornali dell’Ingegnere, in particolare la coppia di fuoco Repubblica-Espresso, lo bombardano con tutti i mezzi. Hanno provato a schiacciarlo sulla palude mafiosa, poi sulle sabbie mobili di Tangentopoli, infine, dal 2009, complice il Noemigate, sulle escort e il bunga bunga. Insomma, il processo si è allargato alle veline e al fenomeno del velinismo, alle trasmissioni come Striscia e a Drive in, il primo format scollacciato prodotto dalla tv commerciale.
L’antiberlusconismo militante, che ha nel gruppo De Benedetti il suo quartier generale e le sue teste pensanti, sembra voler cancellare tutto quello che Berlusconi ha creato, diretto, o anche solo sfiorato negli anni scorsi. Nel mirino c’è il Cavaliere, di cui si mostra ossessivamente la fedina penale, ma anche vent’anni di palinsesti, e la mignottocrazia - per dirla con Paolo Guzzanti - e perfino la Mondadori, che fa venire il mal di pancia ad un teologo impegnato come Vito Mancuso e a uno scrittore imbevuto nell’acqua santa della legalità come Roberto Saviano. Ricci s’incavola e rispedisce al mittente le accuse che gli piovono in testa come missili: «Le veline esistevano già prima delle Veline o, per dirla in altro modo, le ragazze che da sempre occupano il bancone di Striscia non sono che una satira d’un ruolo».
In realtà c’è ben altro. C’è una guerra che il partito che non c’è, quello di De Benedetti sempre pronto a dettare la linea ad una sinistra un po’ confusa e spesso in affanno, combatte contro quello raccolto intorno al Cavaliere. Una guerra feroce che si svolge sulle colonne dei giornali come Repubblica, che dedica al Cavaliere lenzuolate di inchieste ed editoriali sul 25 Aprile che sta per arrivare, o forse è già arrivato, e invece non c’è ancora. Una guerra che prosegue nelle aule di giustizia: basti pensare che per il Lodo Mondadori il giudice Raimondo Mesiano, poi bersagliato dalle tv del Biscione, ha stabilito che il gruppo Fininvest deve risarcire la Cir di De Benedetti con 750 milioni di euro, cifra ora in discussione in appello. Una guerra che le corazzate di De Benedetti affidano ad una legione di storici, polemisti, economisti, giuristi pronti a fotografare il declino, se non il disastro, prodotto da Berlusconi. Nell’estate del 2009, come documentano le immagini pubblicate allora da Oggi e oggi reinventate nel fotoromanzo su Re Carlo, De Benedetti convoca Gad Lerner fra gli scogli del promontorio. Motivo del summit? L’Ingegnere gli fa balenare la direzione di Repubblica. Lerner trasforma, secondo Ricci, il suo Infedele in una vetrina moralistica che fa a pezzi le veline e tutto il resto. E Ricci contraccambia raccontando con toni graffianti «l’iniziazione» di Gad, «il Carlino da combattimento». Si sa, la sinistra autocertifica in tv e in piazza la propria moralità e di riflesso l’immoralità di chi la combatte. È uno schema vecchio, ma non logoro che in questi mesi ha raggiunto vette elevatissime. Il segretario dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Cascini è arrivato a dire la scorsa settimana che la maggioranza di centrodestra non ha «la legittimità culturale, politica, storica e morale per riformare la giustizia».
È il punto d’arrivo di una lunga marcia condotta da De Benedetti - «se lui è un compagno, io non sono più un compagno», ironizza Ricci - e dai suoi segugi: delegittimare e infine scomunicare il Cavaliere che risorge sempre dalle urne e dal voto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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