La guerra (non vinta) per la libertà dell'Iran

In Iran c'è in ballo tutto ciò che è alla base del nostro modo di vivere

La guerra (non vinta) per la libertà dell'Iran
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Non si può non essere contenti quando, su una guerra, viene scritta la parola fine. Anche se, forse, non si tratta di pace vera ma soltanto di una tregua, è comunque un bene per la popolazione che soffre, che viene uccisa e ferita, che è costretta a correre nei rifugi (quando ha dei rifugi a disposizione, e non è il caso dei civili iraniani) e a vivere nel terrore delle sirene e degli attacchi. Però la fine, a volte, non è un lieto fine. Non per tutti, almeno. Infatti, se la guerra fra Israele e Iran, dopo l'intervento degli Stati Uniti, terminerà così, e il regime degli ayatollah resterà in piedi, per la popolazione iraniana la situazione non migliorerà affatto.

Il regime ha già avviato una stretta ulteriore: in questi giorni sono scattati arresti preventivi, sono spariti oppositori e presunte spie, le maglie del controllo e della censura si sono fatte ancora più opprimenti di quanto non fossero. La ritorsione nei confronti dei dissidenti è stata immediata e peggiorerà quando sarà il momento di riconsolidare un potere che ha vacillato: non solo agli occhi del mondo ma, soprattutto, agli occhi dei propri sostenitori interni e dei propri oppositori. Il regime, che si è dimostrato così debole, deve riaffermare la propria forza. E allora l'Occidente, se è quell'Occidente che con orgoglio si fregia di parole come libertà e civiltà, dovrebbe tenere conto che in Iran si gioca una partita che non è soltanto quella, seppur cruciale, del nucleare.

In Iran c'è in ballo tutto ciò che è alla base del nostro modo di vivere, come il movimento «Donne, vita, libertà» ha messo in evidenza nelle strade di Teheran, dopo la morte di Mahsa Amini: donne e uomini che con coraggio hanno protestato pacificamente e sono finiti nelle galere iraniane, torturati, uccisi, scomparsi in un tunnel senza fine.

Alle ultime elezioni parlamentari, solo quattro iraniani su dieci sono andati a votare. Gli altri sei, e i loro cari in esilio nel mondo, sono quelli che guardano all'Occidente e ai suoi valori, come a una speranza. Non di violenza, ma di libertà.

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