
La strada per fermare la corsa al nucleare dell’Iran è ancora tutta in salita. Quello che sembrava il colpo di grazia, le bombe americane, seguite alla guerra dei 12 giorni, a quanto pare non ha portato il risultato desiderato. Soprattutto per quanto riguarda l’inespugnabile sito di Fordow, che si sarebbe rivelato appunto tale. Nella più importante delle centrali nucleari iraniane bombardate, anzi, immagini satellitari mostrano attività di costruzione nei crateri provocati dalle bombe e una nuova strada di accesso con un escavatore e una gru per accedere agli impianti nel sottosuolo. Lungo la montagna poi si vedono auto, bulldozer e camion che lavorano davanti agli ingressi distrutti dai raid. I lavori servirebbero al momento per valutare i danni effettivi ed effettuare un campionamento delle radiazioni ma se aggiungiamo i quantitativi di uranio arricchito che sarebbero stati spostati altrove, ecco che il programma atomico iraniano potrebbe essere tutt’altro che bloccato.
Fatti che confermerebbero le parole di questi giorni dei leader iraniani. Amir-Saeid Iravani, ambasciatore alle Nazioni Unite, è stato netto nel dire che «l’arricchimento nucleare della Repubblica islamica non cesserà mai», perché a suo dire è consentito per scopi «energetici pacifici» ai sensi del trattato di non proliferazione nucleare. «È un nostro diritto, un diritto inalienabile, e vogliamo attuarlo», ha detto, aggiungendo che il suo Paese «era pronto per i negoziati, ma la resa incondizionata non è un negoziato. E dopo questa aggressione non ci sono le condizioni adeguate per un nuovo round di negoziati». Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, dopo un colloquio telefonico con quello francese Emmanuel Macron, ha confermato invece la guerra contro l’Aiea e il suo direttore Raphael Grossi, accusato di avere un comportamento «distruttivo». «L’azione intrapresa dai membri del parlamento iraniano è una risposta naturale alla condotta ingiustificata, non costruttiva e distruttiva del direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica», ha detto Pezeshkian, ribadendo quindi il divieto di accesso all’agenzia ai siti atomici del suo Paese.
Dal Paese degli ayatollah intanto arriva un bilancio quasi definitivo del conflitto con Israele: sarebbero 935 persone le persone uccise, incluse 132 donne e 38 bambini, tutti definiti martiri dalla tv di stato iraniana.
«Gli Stati Uniti e il regime sionista hanno commesso una grande ingiustizia contro di noi. Hanno martirizzato i nostri generali in uno scontro codardo e furtivo da parte di Israele, e devono pagarne il prezzo», ha detto Ali Larijani, uno dei più stretti consiglieri del leader Ali Khamenei. «Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva promesso che avrebbe negoziato, ma ha mentito e ci ha sfacciatamente ingannati, poiché il giorno dopo Israele ha attaccato l’Iran con il suo via libera. Gli attacchi erano uno scenario pianificato in anticipo e un progetto israelo-americano» ha detto Larijani che ha anche confessato di aver ricevuto telefonate durante il conflitto che lo «invitavano» al asciare il Paese per non essere ucciso, così come accaduto a diversi generali, contattati direttamente da agenti del Mossad israeliano.
Nel frattempo in Iran è ripresa la vita secondo il copione che già si conosceva: repressioni e arresti.
Secondo Iran International, altri cittadini
europei sono stati fermati in varie province del Paese con l’accusa di «cooperare in qualche modo con Israele». O chissà, soltanto per essere ritenuti «sospetti» in un Paese che, con o senza nucleare, non conosce la libertà.