Solo la super bomba GBU-57 può colpire i tunnel nucleari: l'arma di Trump che manca a Israele

A oggi, solo un’arma è teoricamente in grado di distruggere il sito fortificato di Fordow: la GBU-57, una bomba anti-bunker sviluppata dagli Stati Uniti

Solo la super bomba GBU-57 può colpire i tunnel nucleari: l'arma di Trump che manca a Israele

Mentre Israele conduce una delle offensive aeree più audaci della sua storia recente contro obiettivi strategici in Iran, emerge con forza un limite strutturale della sua capacità militare: l’impossibilità di colpire efficacemente il cuore sotterraneo del programma nucleare iraniano.

L’impianto di Fordow, scavato a oltre 80 metri di profondità nella roccia delle montagne vicino a Qom, rappresenta l’elemento più protetto e simbolico delle ambizioni atomiche della Repubblica Islamica. Costruito in funzione anti-aerea e progettato per resistere a bombardamenti convenzionali, è diventato l’emblema dell’inaccessibilità tecnica che ne garantisce la sopravvivenza, anche di fronte a una campagna militare su larga scala.

A oggi, solo un’arma convenzionale è teoricamente in grado di raggiungere e distruggere un sito così profondamente fortificato: la GBU-57, nota come Massive Ordnance Penetrator. Si tratta di una bomba anti-bunker da oltre 13.600 chilogrammi, sviluppata dagli Stati Uniti con l’esclusivo scopo di penetrare strati multipli di cemento armato e roccia prima di esplodere. È capace, secondo dati del Dipartimento della Difesa e di RAND, di perforare fino a 60 metri di roccia solida o cemento ad altissima densità, grazie a una struttura allungata e rinforzata e a una testata da oltre 2.400 chilogrammi di esplosivo ad alto potenziale, guidata da un sistema GPS/INS di precisione. La spoletta è progettata per detonare dopo aver superato eventuali camere d’aria, cavità o doppi strati protettivi: una soluzione pensata appositamente per bunker compartimentati come quello di Fordow.

Mappa di Fordow

Tuttavia, la GBU-57 non è un’arma ordinaria. Può essere lanciata solo da un bombardiere stealth B-2 Spirit, l’aereo più sofisticato e costoso dell’arsenale statunitense, di cui esistono solo 19 esemplari operativi. Ogni B-2 può trasportare due GBU-57 nei suoi vani interni, mantenendo la propria firma radar ridottissima e operando a migliaia di chilometri di distanza con rifornimenti in volo. Questo lo rende un asset esclusivamente strategico, impiegato soltanto in missioni ad alto valore politico e militare.

A marzo 2025, sei B-2 sono stati dispiegati nella base anglo-americana di Diego Garcia, nell’Oceano Indiano, in concomitanza con una serie di attacchi aerei contro le milizie Houthi in Yemen. Ma il vero destinatario del messaggio era l’Iran. Il segretario alla Difesa USA Pete Hegseth ha dichiarato pubblicamente che questi velivoli si trovano "in raggio operativo di ogni obiettivo rilevante nel Medio Oriente", lasciando intendere che Washington possiede i mezzi per colpire Fordow, qualora la via diplomatica dovesse fallire.

Bombardiere B-2 Spirit

Israele, da parte sua, ha messo in campo le sue risorse più avanzate, inclusi caccia F-35 e droni da attacco, e ha studiato due strategie parallele: da un lato, colpire bersagli simbolici per generare panico, dall’altro, tentare attacchi chirurgici contro l’infrastruttura nucleare. Ma il suo arsenale anti-bunker si ferma a bombe guidate di precisione, incapaci di superare le difese profonde di Fordow. La distanza operativa e la mancanza di armamenti adatti impediscono a Tel Aviv di prendere in considerazione un attacco risolutivo a questo sito.

Di fronte a questo squilibrio di capacità, emerge quello che l’analista Peter Wildeford ha definito il “paradosso di Fordow”: gli Stati Uniti possiedono la tecnologia per distruggere l’impianto, ma non la volontà politica; Israele ha la volontà, ma non gli strumenti. Questo dualismo strategico è reso ancora più complesso da un terzo fattore: il cyberspazio. La storia degli sforzi congiunti USA-Israele per sabotare il programma nucleare iraniano ha nel virus Stuxnet il suo esempio più eclatante. Nel 2010, quel malware sabotò con successo centinaia di centrifughe a Natanz, dimostrando che un’infrastruttura nucleare può essere compromessa anche senza fuoco convenzionale. Oggi, Israele valuta nuovamente l’opzione cibernetica per colpire infrastrutture critiche: secondo fonti iraniane, attacchi digitali hanno recentemente interessato centrali elettriche, nodi del trasporto e reti portuali, aumentando il livello di tensione nel dominio ibrido.

Nel frattempo, la recente offensiva israeliana, iniziata nella notte del 13 giugno, ha colpito almeno 15 obiettivi militari ed energetici sul territorio iraniano, inclusi siti nelle aree di Teheran, Isfahan e Bandar Abbas. Ma anche questa seconda giornata di attacchi ha lasciato Fordow intatto. A sottolineare la fragilità della posizione israeliana è il fatto che oltre 100 missili balistici siano stati lanciati in risposta da Teheran, segnalando l’alto costo politico e militare di ogni ulteriore escalation.

La GBU-57, pur essendo tecnicamente disponibile, resta confinata a una funzione di deterrenza. Il costo dell’ordigno, stimato in circa 3,5 milioni di dollari, e quello complessivo del programma B-2, che supera i 45 miliardi, rendono il suo utilizzo una decisione pesantemente politica. L’impiego reale comporterebbe una chiara violazione del principio di proporzionalità e del diritto internazionale, attirando le critiche di Cina, Russia e AIEA, e aprendo la porta a una crisi regionale senza precedenti. Tuttavia, la sola presenza operativa di questi velivoli e armamenti nel raggio d’azione dell’Iran costituisce una leva negoziale di prim'ordine.

In questo scenario, la deterrenza americana non è solo militare, ma anche simbolica. Washington, più che prepararsi a colpire Fordow, sembra voler mantenere la possibilità teorica di farlo. Una possibilità che pesa come un macigno nei calcoli strategici di Teheran. E di Tel Aviv.

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