
La decisione di Donald Trump di attaccare l'Iran sta suscitando un forte dibattito negli Stati Uniti, ne abbiamo parlato con Tim Phillips, già presidente dell'Americans for Prosperity, uno dei think tank conservatori più influenti, oggi direttore del Government Affairs & Global Strategies di Nestpoint.
Com'è maturata la decisione di Trump di attaccare l'Iran?
«Il presidente aveva già spiegato nei giorni scorsi che non avrebbe detto pubblicamente le sue reali decisioni. Non è stato un attacco improvvisato ma maturato dopo aver valutato con l'intelligence, i vertici militari e dell'amministrazione le varie ipotesi. Gli Usa hanno negoziato per sessanta giorni con l'Iran per arrivare a un accordo sul nucleare ma gli iraniani non hanno preso seriamente le trattative, anche Israele ha atteso prima di attaccare».
Eppure Trump aveva dichiarato che avrebbe dato due settimane all'Iran dopo l'attacco di Israele
«Gli iraniani avevano ricevuto vari avvertimenti da Trump ma hanno deciso di ignorarli, inoltre per tre decadi sia con i democratici sia con i repubblicani la posizione americana è sempre stata la stessa: l'Iran non può avere una bomba nucleare».
Il mondo Maga (Make America Great Again) si è molto diviso nei giorni scorsi su un possibile intervento americano, pensa che Trump abbia cambiato la propria linea in politica estera?
«Non lo penso, Trump non è solo il leader ma il creatore del movimento Maga, non lo hanno creato né Tucker Carlson né Ted Cruz (il riferimento è al dibattito dei giorni scorsi tra l'ex anchorman di Fox e il senatore repubblicano, ndr). La stragrande maggioranza degli americani che sono parte del Maga credono in Trump e il fatto che ci sia dibattito all'interno di un movimento lo considero un aspetto positivo, di forza e vitalità, il conformismo non è per forza un elemento positivo».
Chi fino a qualche giorno fa nel mondo conservatore criticava un possibile intervento americano ora cosa farà?
«Mi sorprenderebbe se non stessero con Trump, quando inizia la guerra le polemiche devono finire e bisogna essere tutti uniti».
Pensa possa verificarsi uno scenario come l'Irak nel 2023?
«Non è un'opzione e il presidente lo ha già escluso, non invieremo militari in Iran, si tratta di un attacco mirato ai siti nucleari maturato non in modo precipitoso ma dopo un'attenta riflessione da parte del presidente».
L'attacco americano può generare un cambio di regime in Iran?
«Questo è un tema che riguarda gli iraniani. Molti di loro vorrebbero cambiare la propria vita, mi limito a dire che spero riescano ad avere più libertà».
Come risponderà ora l'Iran? Cosa dobbiamo attenderci?
«Hanno ancora una chance, il presidente ha detto che è stato un attacco limitato ai siti nucleari che minacciano il mondo. Possono ancora fare la cosa giusta e tornare al tavolo delle trattative».
Potrebbe esserci un crescente rischio di attacchi terroristici in Occidente?
«La repubblica islamica dell'Iran è il principale supporter del terrorismo islamico nel mondo, uccidono civili innocenti, per decenni hanno esportato il terrorismo e continueranno a farlo».
In questo contesto quale ruolo deve avere
l'Europa?«L'Europa insieme a Israele e al Giappone è il nostro più stretto alleato, l'Occidente deve restare unito. In particolare l'Italia con Giorgia Meloni ha un ruolo importante viste le ottime relazioni tra lei e Trump».