Guerra in Israele

"Non prende decisioni fondamentali". I vertici della sicurezza israeliana contro Netanyahu

Stando a quanto riportato dai media ebraici, i capi dei servizi di sicurezza avrebbero chiesto al premier di prendere una decisione riguardo a Rafah, la questione ostaggi e il dopoguerra a Gaza

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L’attuale stallo in Medio Oriente, con le trattative a un punto morto e l’incertezza su quando inizierà l’attacco delle Idf a Rafah, sta iniziando a generale contrasto all’interno della leadership israeliana. Stando a quanto riportato dal quotidiano Yedioth Ahronoth, i capi dei servizi di sicurezza dello Stato ebraico avrebbero affermato che il premier Benjamin Netanyahu si sta astenendo dal risolvere questioni fondamentali, mettendo in pericolo i risultati dell’esercito.

In particolare, gli alti ufficiali avrebbero chiesto al primo ministro di prendere una decisione riguardo l’inizio delle operazioni nella città al confine con l’Egitto, la questione degli ostaggi e una visione per quanto riguarda il dopoguerra a Gaza. Per quanto concerne le trattative, giovedì 2 maggio Hamas ha respinto la proposta di accordo elaborata dai mediatori e approvata da Israele. In precedenza, un funzionario di Tel Aviv aveva dichiarato che l’esecutivo avrebbe atteso una risposta dei terroristi massimo fino a mercoledì sera e che avrebbe deciso come agire di conseguenza, ma al momento non sono stati registrati movimenti di truppe o un’interruzione delle trattative. Anzi, fonti egiziane hanno affermato che i negoziati stanno proseguendo.

Riguardo all’invasione di Rafah, ultimo bastione dei terroristi nella Striscia, nei giorni scorsi Netanyahu ha dichiarato che le Idf sarebbero entrate in città con o senza accordo. Il numero due della Casa Bianca Antony Blinken, durante la sua visita in Israele, ha ribadito la contrarietà di Washington all’operazione. Una posizione, questa, su cui si è allineato anche il segretario alla Difesa Lloyd Austin, che in una telefonata con il suo omologo israeliano Yoav Gallant ha sottolineato la necessità di avere un piano credibile per l’evacuazione degli oltre 1.5 milioni di civili rifugiatisi nella comunità al confine con l’Egitto prima di procedere con l’opzione militare.

Oltre ai contrasti con i servizi segreti, Benjamin Netanyahu si trova ad affrontare anche la rabbia dei familiari degli ostaggi, che più volte hanno manifestato contro il governo accusandolo di aver abbandonato i loro cari a Gaza, e le tensioni interne all’esecutivo. I partiti dell’estrema destra religiosa, infatti, hanno fatto pressione perché si dia il via all’operazione a Rafah e hanno lasciato intendere la loro volontà di staccarsi dalla coalizione di Bibi in caso di accordo con Hamas.

L’ala moderata guidata da Benny Gantz, invece, ha ribadito la necessità di mettere in cima alla lista di priorità il ritorno a casa delle persone rapite durante gli attacchi del 7 ottobre.

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